La violenza non è un fenomeno aberrante da condannare in quanto tale. Grazie alla violenza i diseredati e gli oppressi proclamano il proprio diritto all’esistenza, provano a se stessi e agli altri la propria legittimità, sì impongono come soggetti attivi del processo sociale. La prova di forza si trasforma in un giudizio terribile e inequivocabile, in cui i valori, le visioni del mondo, le istituzioni e la struttura del potere che le sorregge vengono saggiate nella loro vitalità, sottoposte a un esame estremo che può cambiare la realtà e creare un nuovo ordine di vita. La violenza non è irrazionale e inumana, e non è sempre distruttiva. Nello scambio continuo di valori, che governa i rapporti tra gli uomini, la violenza è l’ultimo strumento per riparare le diseguaglianze e reintegrare le parti su basi piu giuste.
La violenza non è l’atto creativo della società nuova. La violenza è semplicemente uno strumento i cui limiti e la cui efficacia sono definiti dal contesto sociale. Tutti i livelli della vita associata sono permeati da un processo di contrattazione che abbraccia una gamma amplissima di valori, positivi e negativi. Nieburg fu qui giustizia delle mascherature teoriche che ricoprono i pregiudizi vecchi e nuovi sulla violenza politica e inquadra il fenomeno in una dimensione inesplorata. Il suo suggerimento è semplice: comprendere il processo sociale perché la violenza ne è parte integrante, e individuare i modelli di interazioni che la promuovono e consolidano. In questo modo emerge il contesto strutturale della violenza politica, e le interpretazioni settoriali sono superate in una prospettiva più ampia. Un passo importante nella direzione di una teoria della violenza politica e un libro lucido e antiaccademico, lontano da ogni scolastica, che va diritto al nocciolo delle cose e propone una meditazione seria sul mondo che ci circonda.