«Era un bimbo curioso… Una sola volta l’ho visto triste: piangeva. Fu quando gli dissi che i tedeschi avevano proibito ai ragazzi ebrei di frequentare le scuole. Lo trovai in un angolo del cortile, appartato. Guardava gli altri giocare, si sentiva solo, lo avevano escluso». Testimonianza della maestra di Dawid. Poco dopo la conclusione della seconda guerra mondiale, i giornali diedero notizia del ritrovamento in Polonia di un nuovo «diario di Anne Frank»: cinque quaderni scritti da un ragazzo ebreo, Dawid Rubinowicz, che aveva dodici anni quando cominciò a narrare le vicende del suo villaggio occupato dai tedeschi. Il diario di Dawid in realtà è molto diverso da quello di Anne: il figlio del lattaio di Krajno non ha la precoce sensibilità psicologica e poetica della ragazzina olandese e la sua non è una storia di delicati rapporti umani nel chiuso di un «interno» borghese assediato dalla tragedia. Seguendo la vita di una piccola comunità ebraica tra il 1940 e il 1942, il giovane polacco ne fa un resoconto oggettivo, privo di interventi personali – il che non significa che da quel resoconto non traspiri il sentore dell’incubo nazista. A un certo punto, il diario si interrompe: forse in quei giorni avvenne qualcosa di tragico? Non lo sappiamo. Il racconto dell’ultimo giorno inizia con la frase «Giornata di felicità» e si interrompe con la notizia di due ebree uccise dai tedeschi: ecco tutto ciò che sappiamo sul destino di Dawid e del suo villaggio.
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