«Le persone sane sono persone malate che semplicemente non sanno di esserlo». La battuta di una vecchia commedia è uscita dai teatri per inverarsi negli attuali sistemi sanitari. Quel paradosso va sotto il nome, in apparenza confortante, di medicina preventiva: screening di massa attuati con sofisticate apparecchiature di misurazione biometrica rilevano minime anormalità spesso indolenti e non progressive, su cui agisce poi un trattamento farmacologico di correzione della «devianza». Sollecitudine per la salute pubblica o affare colossale per il complesso medico-industriale? Iona Heath non ha esitazioni. Assimila le politiche neoliberiste in materia di rischio epidemiologico a una «licenza a stampare denaro». Ma nella sua accorata accusa contro la «combinazione tossica di interesse personale e buone intenzioni» la dottoressa Heath, tra i medici più esperti e stimati del Regno Unito, non è sola. Ricerche scientifiche pluridecennali hanno ormai dimostrato che l’illusione statistica dell’efficacia della prevenzione dipende soltanto dall’ampliamento della nozione di malattia e dall’abbassamento della soglia dei protocolli di intervento. Il risultato di questo regime di sovradiagnosi e sovratrattamento è una medicalizzazione della vita che ci fa sentire tutti un po’ malati, mentre storna ingenti risorse dalla cura di chi ne ha davvero bisogno, ossia le fasce soccombenti della popolazione. Quando ci ripeteranno che «prevenire è meglio che curare», chiediamoci almeno quali costi sociali abbia un’ossessione per il benessere del corpo che allontana sempre più l’idea stessa della sofferenza dall’orizzonte umano a cui inevitabilmente appartiene. Proprio su questo prospera il lucroso mercato della salute.
Iona Heath – Contro il mercato della salute
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