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Alberto Arbasino – Passeggiando tra i draghi addormentati
Quando si riaprono certi paesi ‘mitici’, dopo decenni di stragi ideologiche, forse non sarà più permesso fare ancora i decadentismi naïfs o i maoismi all’italiana. L’approccio – finalmente – ai leggendari templi e ai favolosi monumenti spesso si svolgerà camminando letteralmente sui teschi delle infinite vittime delle ideologie e delle utopie. E solo qualche vecchio fatuo e sciocco potrebbe fare ancora dell’estetismo gregario o dell’engagement subalterno fra le tragedie e sulle macerie.
Ora, dopo la Cambogia (subito raccontata in “Mekong”), anche la Birmania ha riaperto destinazioni avventurose e a lungo inaccessibili: Rangoon, Mandalay, i santuari dorati, i mille templi di Pagan. E l’Iran socchiude spiragli contraddittori sui suoi luoghi fantastici: Persepolis, Isfahan, Shiraz… Ma intanto anche l’America Centrale, tradizionale e instancabile produttrice di insurrezioni e guerriglie grandi e piccole, continua a presentare le sue eccitanti rivoluzioni, sempre così suggestive: una vecchia finisce in Guatemala, una nuova è alla moda in Chiapas. Mentre i segnali di pericolo turistico si sviluppano magari nelle destinazioni storiche di successo: Sanaa, Palmira, Petra.
E perché non un giro tra i draghi Fafner assopiti in Sicilia o in Argentina, dopo tutto? Assolutamente non un’ennesima indagine sociopolitica o moralistica sui noti mali e guai della sventurata isola, bensì un rinnovo dei viaggi culturali compiuti da Bernard Berenson un secolo fa. E una rivisitazione della Buenos Aires postmoderna, cioè dopo Borges.
I testi di viaggio qui raccolti traggono origine da reportages apparsi su «la Repubblica».
Alberto Arbasino – Mekong
Andrew O’Hagan – La vita segreta: Tre storie vere dell’èra digitale
Levin Meyer – Compulsion
William Langewiesche – Terrore dal mare
Gran parte delle centoquarantatremila navi che incrociano al largo delle nostre coste appartengono a compagnie di comodo, imbarcano marinai sprovvisti persino di documenti personali, e possono cambiare più volte bandiera e nome durante la navigazione. Gli oceani sono ormai un’immensa distesa anarchica, dove può accadere che carrette pronte per la demolizione affrontino furiose tempeste nel Golfo di Biscaglia, che traghetti di linea colino a picco nel Baltico per un patente difetto di fabbricazione (uccidendo centinaia di persone), che grandi carghi vengano abbordati da un’imbarcazione pirata nello Stretto di Malacca e spariscano nel nulla. E se la vita di molte navi è spettrale, la loro fine rischia di essere ancora più sinistra. In genere, l’ultimo atto ha per teatro la sterminata spiaggia di Alang, in India, dove un esercito di termiti umane è in grado di ridurre in poche settimane un mercantile al suo scheletro malinconicamente coricato sulla sabbia. Ma esiste un’altra possibilità assai realistica, che nella sua appassionata esplorazione di questa immensa area di tenebra, particolarmente adatta alla pratica del crimine e del terrore, William Langewiesche ha voluto sondare. Ed è quella che un qualunque portacontainer con un carico letale attracchi indisturbato alle banchine di New York, di Londra o di Genova, e che per farlo scelga la via più diretta, e cioè rispettare alla lettera l’intrico di regolamenti e procedure escogitati per tenere sotto controllo il mondo della navigazione.
Vasilij Grossman – Uno scrittore in guerra. 1941-1945
Basandosi sui taccuini di appunti che Vasilij Grossman rielaborò nei reportage di guerra destinati al giornale dell’Armata Rossa, «Krasnaja zvezda», lo storico inglese Antony Beevor evoca una pagina rimossa eppure fondamentale nella biografia dello scrittore. Dallo shock dell’invasione tedesca del ’41 fino alla trionfale avanzata su Berlino, passando per l’epica battaglia di Kursk e l’atroce scoperta dei campi di Treblinka e Majdanek, Grossman cerca, malgrado la censura, di mantenersi sempre fedele al compito che si è imposto, narrare in presa diretta «la verità spietata della guerra», affrontando anche i temi che agli occhi delle autorità sovietiche appaiono decisamente scomodi.
Consiglio a cura di U.s.A.
N.b. tutti i consigli [corretto] sono a cura di U.s.A.
Umberto Cecchi – Sulla via dorata di Samarcanda
Balk in Afganistan, Samarcanda e Buckhara in Uzbekistan, tre città millenarie che evocano storia e leggende. E da Samarcanda, con il suo bazar, la sua millenaria piazza del Registan, le mura dilavate dal sangue dei nemici e dalle piogge, le sue contraddizioni fra Islam, socialismo e modernismo, si arriva a Nukus, capitale dimenticata del Karakalpakstan. E ancora su, fino alla scoperta inquietante dell’agonia del Lago di Aral, avvelenato da pesticidi e da esperimenti nucleari e batteriologici. A inaugurare la nuova collana “Off the road”, un testo sui luoghi mitici che il giornalista Umberto Cecchi ha ripercorso assieme a un cultore dell’arte come Vittorio Sgarbi.
Consiglio offerto da ArM.
Rob Gifford – Cina. Viaggio nell’impero del futuro
In Cina vi è una strada nera e logora che si scaglia nel deserto del Gobi come una freccia. Non è solo una vecchia strada. È la Strada Madre della Cina, si chiama Route 312. Quattromilacinquecento chilometri, da Shanghai fino al confine col Kazakistan, che nel deserto del Gobi, la distesa di sabbia in cui sparivano un tempo intere carovane di cammelli coi loro preziosi carichi, si congiungono con la Via della Seta. Lungo la Route 312 è raro vedere oggi cammelli. Si possono però scorgere migliaia di cinesi in cammino, viandanti di un’epoca straordinaria: l’epoca della Cina dell’inizio del XXI secolo, una nazione in perenne movimento, in cui si calcola che centocinquanta-duecento milioni di persone abbiano già lasciato i villaggi natali per cercare lavoro nelle città dello sterminato paese asiatico. In Cina questa gente comune viene chiamata lao bai xing, letteralmente i “Vecchi Cento Nomi”, secondo un’antica leggenda che vuole che tutta la popolazione sia costituita da non più di un centinaio di ceppi familiari. Viaggiando lungo l’intera 312, Rob Gifford svela il ricco mosaico della moderna vita cinese e gli sconvolgimenti che essa produce nella psiche e nei comportamenti dei Vecchi Cento Nomi. Attraverso la voce di loquaci ospiti di talk show e yuppie ambiziosi, contadini poveri e prostitute, venditori di cellulari e monaci tibetani, Gifford ci restituisce la realtà effettiva di una immensa nazione, un paese dove, al di là delle astratte statistiche di economia, è in corso un’imponente avventura.
Consiglio offerto da ArM.
Ana M. Briongos – La caverna di Alì Babà. La caverna di Alì Babà. L’Iran giorno per giorno
“So che mi meraviglierò ancora ed è per questo che parto. Mi affascina l’idea di intrufolarmi all’interno di un negozio di tappeti, poter condividere le giornate con venditori e clienti, aiutare a servire il tè fumante e assaporarlo in mezzo ad alcatifa, kilim, sofreh, jajim e namakdan… Sarà come entrare nella caverna di Alì Babà, quella caverna piena di tesori che tanto ci faceva sognare quando eravamo piccoli. E non avrei potuto essere più fortunata, giacché sarò ospite di una famiglia di commercianti del bazar di Isfahan. Come Samarcanda e Timbuctu, Isfahan è una città mitica ed è sufficiente pronunciarne il nome per evocare mondi incantati”.
Consiglio offerto da ArM.