Veniamin Kaverin – Fine di una banda

Fine di una banda di [Kaverin, Veniamin Aleksandrovicˇ]

Questa storia orbita nei più bassi strati della criminalità pietroburghese degli anni Venti, tra covi, linguaggi in codice, imprese folli e sempre perdenti. Non manca una certa storia d’amore, che vede coinvolti un detenuto politico, un capobanda distratto e una stenografa qualunque. Ha tutta l’aria di un libro d’azione, ma il mondo raccontato è umbratile e paradossale; i personaggi sono finzioni, emblemi privi di una qualsiasi consistenza corporea. Le loro azioni sono surreali, mal congegnate, equivoche. Eppure, cominciata la lettura, è impossibile fermarsi. Dietro una prova di scrittura magistrale che sembra sfruttare in una grande parodia tutta la materia disponibile nella letteratura russa degli anni d’oro, non è difficile intravedere l’inquietante enigma che incombe sull’architettura sovietica dei primi anni dopo la rivoluzione, tra la resistenza delle tradizioni morenti e l’emergere di una nuova, incerta, ma già inarrestabile tenebra.

Il’ja Il’f e Evgenij Petrov – Le dodici sedie

Le dodici sedie di [Il'f, Il'ja, Petrov, Evgenij]

Dodici sedie, identiche l’una all’altra; in una di esse l’ex proprietaria, la signora Petuchova, ha nascosto dei diamanti, ma le sedie, confiscate dal governo, sono andate disperse per tutta la Russia. Ippolit Vorobjaninov, ex maresciallo della nobiltà, ora modesto impiegato comunale, per recuperare il tesoro ingaggia Ostap Bender, un detective dalle imprevedibili risorse, che è il vero, irresistibile protagonista del romanzo. Sarà Ostap Bender a mettersi a capo dell’improbabile banda, composta anche da un ex pope, e a condurre una caccia al tesoro ricca di colpi di scena e suspense, da Mosca fino al Caucaso e alla Crimea. Le brillanti avventure narrate nelle Dodici sedie (1928) serviranno da espediente per una critica pungente della vita quotidiana sovietica nel periodo della NEP.

Danii Charms – Casi

Racconti di pochi istanti, trame incongrue e persecutorie, irrisioni sistematiche: questo è il terreno della sua prosa. La sua singolarità è tale da non tollerare inquadramenti. Charms rimane soprattutto uno stupefacente narratore di “casi”, tanto gratuiti quanto ineluttabili. Rispetto alla gelida purezza dei suoi esperimenti di parodia sistematica, le versioni occidentali dell’assurdo appaiono timide.

Evgenij Evtusenko – Arrivederci, bandiera rossa. Poesie degli anni Novanta

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In questo libro leggiamo la fine dell’impero sovietico. Vi tro­viamo la nostalgia, che non è il pianto funebre per la dittatura, la censura, il Gulag, bensì la nostalgia per le speranze del po­polo russo, ingannate dalla rivoluzione comunista e poi da quella anticomunista; nostalgia per l’illusione infranta di un socialismo dal volto umano. In tal senso questo non è solo un libro sulla politica, ma anche su Dio e sull’amore. «Sebbene io presagissi la caduta dell’impero sovietico», scrive l’autore, «non prevedevo ch’essa potesse accadere sotto i miei occhi. Facevo parte di coloro che spingevano la Russia, come un ca­mion impantanatosi nel fango, ma quando ci riuscì di smuo­vere la storia, essa ci sfuggì di mano e, superandoci, impetuo­samente e in modo terribile, fu come se precipitasse da una montagna. La storia sorpassò non solo Gorbačev, ma tutti noi con lui, inzaccherandoci, nel congedarsi, il viso di fango da sot­to le ruote, per riconoscenza.»

Evgenij Evtusenko – Autobiografia precoce

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Scritta a Parigi, in una settimana di passione — o, come doveva dire Evtušenko quindici giorni più tardi, a Mosca, “ in un momento di sventatezza ” (che, a pensarci bene e conoscendo il tipo, ha tutta l’aria d’uno sberleffo mica male, piuttosto che d’un atto di sottomissione) — col fervore di chi mette le carte in tavola e vuol dire tutto in un colpo solo, questa Autobiografia precoce è un documento veramente straordinario di quella che è stata la Russia negli ultimi vent’anni, vista con gli occhi di un ragazzo che impara sui marciapiedi di una delle più grandi città del mondo a farsi largo nella vita, a colpi di pugni e di verità. Ed è anche qualcosa di ben diverso dalle sofisticate Memorie di Ehrenburg o dell’elegiacoSaggio autobiografico di Pasternak: qui la scoperta della cultura e la scoperta del mondo sono fatte nello stesso momento, in drammatica contemporaneità: il fascino degli ideali rivoluzionari e il ricordo confuso del nonno, le parole di Lenin e quelle della madre, la dissoluzione dell’unità familiare e il crollo del regime autoritario, le gazzarre di strada e la disperata volontà di sopravvivenza degli artisti non conformisti, l’amore e l’ebbrezza della lotta ideologica, tutto avviene in modo mischiato e confuso; gli antisemiti vengono al cinema con noi, gli effetti della tirannide si sperimentano sulla carne, lo stalinismo è una cosa che si vede.

Bulat Okudzava – Il povero Avrosimov

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Il romanzo, uscito sui numeri 4, 5 e 6 della rivista « Družba Narodov », ha rappresentato il caso letterario sovietico del 1969: accolto con diffidenza dalla critica ufficiale, è andato a ruba tra i lettori. L’impianto della narrazione è apparentemente storico e realistico, ma si tratta più che altro di un artificio per aggirare i canoni letterari imposti dall’estetica del regime. Pietroburgo 1826: un momento di durissima repressione zarista, dopo il fallito tentativo insurrezionale degli ufficiali decabristi. Il povero Avrosimov, un giovane possidente di campagna, è chiamato a redigere i verbali dell’inchiesta. Diventa così un modesto ingranaggio della macchina statale in piena azione terroristica. Ma la sua partecipazione al processo va al di là dei limiti segnati dalla mansione di scrivano; si dilata in una sorta di ipnosi che non gli permette di distinguere tra sogno e realtà fino a trasformarlo in complice di un complotto per liberare Pestel’, il capo dei congiurati. Nemmeno la fine del processo permette a! protagonista di tornare alle sue abituali certezze. In un turbine di eventi ambigui, figure, ambienti, problemi morali e esistenziali si confondono. La realtà è definitivamente compromessa e solo così le vicende di Avrosimov possono avere il loro squallido lieto fine. «Tuttavia, lasciamo perdere. Lasciamo perdere vi dico! » è la conclusione di Okudžava.

Konstantin Paustovskij – Le nubi scintillanti

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Libertà senza limiti dell’iminaginazione, gusto dell’avventura e dell’esotismo, esaltazione dei valori dell’individuo spinta a tratti sino a un istintivo vagheggiamento di ideali anarchici, caratterizzano sin dagli inizi la narrativa di Paustovskij, l’unico grande romanziere sovietico che sia riuscito a portare avanti sin dentro il « disgelo » una sua linea di coraggiosa e coerente autonomia espressiva, senza scendere a compromessi e senza incorrere, tuttavia, nell’ostracismo della critica ufficiale. Ne Le nubi scintillanti il più importante romanzo della sua prima fase creativa, scritto e pubblicato nel 1928 — la fantasia tipica dello scrittore si organizza spontaneamente nei modi del racconto poliziesco e d’avventura. Erano gli anni in cui i formalisti russi, da Šklovskij a Ejchenbaum, teorizzavano la « canonizzazione dei generi minori » sottolineando l’importanza di un’arte che utilizzasse a fini rivoluzionari espedienti come quelli dell’intrigo, del colpo di scena e dello sviluppo « a sensazione ». Il filo conduttore della narrazione è la ricerca del diario di un aviatore poeta, sottratto da un avventuriero americano: ricerca che conduce attraverso Russia, Ucraina e Caucaso un terzetto di personaggi mossi da una sottile e struggente inquietudine. Soste nei porti e in cittadine che hanno profumi e misteri d’oriente, apparizioni bizzarre, amori con prostitute dostoevskiane, colpi di pistola e risse nelle taverne sono le tappe di un itinerario nel quale si congiungono idealmente una ironica eco dell’allora nascente cinema d’azione, l’omaggio ai grandi maestri della letteratura fantastica come Stevenson e Poe e il mito tipicamente russo e romantico del viaggio inteso come simbolo di evasione e conoscenza. Alla celebrazione e alla stilizzazione dell’esotico, che si rispecchia — come in Babel’, uno scrittore a cui Paustovskij fu intimamente legato durante il suo soggiorno a Odessa — nelle forme sgargianti del paesaggio e del folclore meridionali, fa riscontro ne Le nubi scintillanti una prosa al tempo stesso calcolatissima e naturale, densa di riferimenti reali e slanci visionari.

Vladimir Tendrjakov – Straordinario

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Nella scuola media di una quieta cittadina sovietica di provincia scoppia uno scandalo: una studentessa della decima classe (la nostra terza liceo), una giovane comunista, figlia di un funzionario locale del partito, crede in Dio. Poche settimane più tardi si scopre che anche il professore di matematica e fisica è un credente. Questa notizia sconvolge studenti ed insegnanti e costringe il direttore della scuola, che conduce in prima persona il racconto, a un severo esame di coscienza. Vengono messi in discussione i criteri d’insegnamento e, più in là, i principi che regolano la vita sociale: i dirigenti locali del partito seguono con apprensione gli sviluppi della vicenda. Intanto il professore è costretto a lasciare l’insegnamento: la ragazza invece, fatta segno all’ostilità dei compagni, attraversa una crisi profonda che finirà per soffocare in lei ogni slancio spirituale. In questo nuovo romanzo, che non mancherà di stupire il lettore italiano, rivelandogli un aspetto inedito della realtà sovietica, Vladimir Tendrjakov affronta il problema della democrazia e dell’educazione alla vita democratica in una società che voglia essere autenticamente socialista. Estremamente significative sono le pagine che illustrano le elezioni organizzate nella scuola, dove i due partiti in lizza sono quello dei «fisici» e quello dei « lirici », cioè i rappresentanti della cultura tecnicistica e della cultura umanistica. Ed è interessante che l’opposizione alla religione in Straordinario non sia condotta secondo la linea ufficiale sovietica di un facile e volgare scientismo, ma da un punto di vista storico-sociale che faticosamente ma chiaramente emerge.

Viktor Nekrasov – Kira

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Come già nel romanzo Nella città natale (Einaudi, 1955) che rivelò Viktor Nekrasov, il motivo del «reduce» ha un ruolo centrale anche in Kira Geòrgievna (1961): “Ma qui a ritornare, a reinserirsi nella collettività non è un soldato, ma un «riabilitato», un intellettuale. Arrestato nel 1937 durante le purghe staliniane come « nemico del popolo», Vadìm viene liberato dai campi di lavoro nella Russia di Kruscev. Il vero centro del dramma del ritorno non è lui, ma Kira, sua moglie: una scultrice inquieta, sognatrice, un po’ frivola. La ricomparsa di Vadìm dopo vent’anni trova Kira in una situazione complessa: vive con un altro marito, un vecchio pittore «ufficiale», ma ha una relazione con Jurocka, il giovane operaio che le fa da modello. L ‘apparizione di Vadìm rimescola i destini di tutti e ridistribuisce i ruoli. Nekrasov è narratore sobrio e asciutto. L ‘attenzione che porta ai sentimenti, la malinconica trepidazione per il destino dell’uomo lo avvicinano al grande filone cechoviano.