Ilja Ehrenburg – La tempestosa vita di Lazik

La tempestosa vita di Lazik (Diaspora) di [Ehrenburg, Il'ja]

Unione Sovietica, primo e periglioso decennio postrivoluzionario. In una sperduta, “qualsiasi” Gomel, Lazik Reutschwanetz, rispettabile quanto minuscolo sarto per uomo, conduce una vita non felice (perché la compagna Gersanovic dai suoi dieci centimetri d’altezza in più ostinatamente gli si nega) e tuttavia libera, fino al giorno in cui imprudentemente si lascia scappare un sospiro davanti a un manifesto pubblico. Di qui alla prigione il passo è brevissimo. E così pure dalla prigione a una nomade esistenza da irregolare. Lazik, sballottato di paese in paese, passa attraverso una serie ininterrotta di percosse, imprigionamenti e brillanti quanto temporanei successi mondani. Fino all’epilogo, geniale e assurdo.

Isaak Babel’ – L’armata a cavallo

“L’armata a cavallo” è un’antologia di brevi storie ispirate alla guerra civile e scritte con uno stile che riesce a intrecciare sangue e romanticismo, lirismo e barbarie. Eroi a volte feroci, a volte buffi, i personaggi di Babel’ sono tutti esuberanti, uomini vivi, con pregi e colpe che danno vita a una fiumana, una valanga, una tempesta in cui tuttavia ciascuno ha il proprio volto, i propri sentimenti, il proprio linguaggio. Con uno stile che cerca di smitizzare la violenza, Babel’ mette in luce il rovescio della crudeltà e la forza bruta dei leggendari cosacchi, restituendo la dimensione umana di coloro che hanno combattuto e sono morti per la rivoluzione.

Michail Sciolochov – Terre dissodate Volume 2

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Il romanzo descrive, la vita di un villaggio russo prima e durante la “socializzazione” delle campagne russe all’indomani della rivoluzione. La politica sovietica promosse il principio dello sfruttamento egualitario della terra cercando di richiamarsi all’antica tradizione della Sèlskaja obscìna (una specie di comune del villaggio). Tale politica intendeva consegnare il potere ai kombèdy (comitati dei contadini poveri) divenuti organi del potere sovietico a sfavore dei proprietari terrieri più ricchi: i kulàki.

Michail Sciolochov – Terre dissodate Volume 1

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Il romanzo descrive, la vita di un villaggio russo prima e durante la “socializzazione” delle campagne russe all’indomani della rivoluzione. La politica sovietica promosse il principio dello sfruttamento egualitario della terra cercando di richiamarsi all’antica tradizione della Sèlskaja obscìna (una specie di comune del villaggio). Tale politica intendeva consegnare il potere ai kombèdy (comitati dei contadini poveri) divenuti organi del potere sovietico a sfavore dei proprietari terrieri più ricchi: i kulàki.

Michail Sciolochov – Terre dissodate Volume 3

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Il romanzo descrive, la vita di un villaggio russo prima e durante la “socializzazione” delle campagne russe all’indomani della rivoluzione. La politica sovietica promosse il principio dello sfruttamento egualitario della terra cercando di richiamarsi all’antica tradizione della Sèlskaja obscìna (una specie di comune del villaggio). Tale politica intendeva consegnare il potere ai kombèdy (comitati dei contadini poveri) divenuti organi del potere sovietico a sfavore dei proprietari terrieri più ricchi: i kulàki.

Michail Sciolochov – Terre dissodate Volume 4

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Il romanzo descrive, la vita di un villaggio russo prima e durante la “socializzazione” delle campagne russe all’indomani della rivoluzione. La politica sovietica promosse il principio dello sfruttamento egualitario della terra cercando di richiamarsi all’antica tradizione della Sèlskaja obscìna (una specie di comune del villaggio). Tale politica intendeva consegnare il potere ai kombèdy (comitati dei contadini poveri) divenuti organi del potere sovietico a sfavore dei proprietari terrieri più ricchi: i kulàki.

Michail Sciolochov – Il placido Don. Vol. I. Il placido Don

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Michail Aleksandrovic Solochov è nato a Kruzilino [Rostov] nel 1905, la sua nascita in terra cosacca,  sul Don, influì sulla tematica e sullo stile delle sue opere. In  mezzo ai cosacchi visse fino al 1918, partecipando poi, con una  banda bolscevica, alla guerra civile. Tornato sul Don dopo una parentesi moscovita, iniziò la sua monumentale narrativa epica con i  Racconti del Don (1925). In una tonalità derivata in gran parte dal  realismo tolstojano ma irrobustita dalla violenza espressiva del  folclore cosacco, tracciò l’epopea della sua gente nel perentorio  scenario della rivoluzione. Nell’ampio romanzo Il placido Don  (1928-1940) la storia non è fatta da uomini ma da eroi: Grigorij Melechov, la sua amante Aksinia, i compagni di lotta nell’armata di  cavalleria del leggendario Budënnyi, lo stentoreo Mishka Koshevoj,  sullo sfondo dell’antichissima terra dei cosacchi. Il romanzo è diviso in quattro parti: Il placido Don (1928), La  guerra continua (1929), I rossi e i bianchi (1933), Il colore della  pace (1940). Protagonista è Grigorij Melechov, cosacco del Don, promosso sotto-ufficiale nel corso della prima guerra mondiale sul fronte russo-tedesco. Allo scoppio della rivoluzione è per l’abolizione dello zarismo ma, nemico dei bolscevichi, guida una banda armata contro di loro, nella Russia meridionale. I bianchi lo trattano con diffidenza; dopo la spaventosa ritirata del Kuban al seguito dei generali bianchi Denikin e Wrangel, tra pestilenze e orrendi massacri, Melechov si rende conto che la causa dei bianchi è persa, decide di non seguire gli avanzi delle armate controrivoluzionarie che si imbarcano a Novorossijk per Costantinopoli. Resta e attende i bolscevichi. Entra nell’armata a cavallo del generale Budënnyi e partecipa alla campagna di Polonia. Il suo passato di comandante degli antisovietici lo rende sospetto e viene presto smobilitato. Fa ritorno al suo villaggio amministrato dai comunisti. Il presidente del soviet locale, suo cognato e vecchio amico Mishka Koshevoy lo accoglie con ostilità. Minacciato e perseguitato dai burocrati e dai politici, si nasconde, si unisce ai cosacchi che assaltano i distaccamenti rossi mandati a requisire vettovaglie. Con lui combattono i contadini della zona, incapaci però di opporsi all’Armata Rossa e presto sconfitti. Melechov dopo sette anni di lotte su tutti i fronti, dopo atti eroici, ferite, privazioni, è solo, senza nessun legame, confuso e amareggiato: moglie e genitori sono morti, l’amante uccisa, la casa semidistrutta. Gli rimane il figlio: con lui, sulla terra che lo ha visto nascere, ricomincerà una nuova vita. Da questo filone centrale si dipartono innumerevoli episodi, che danno al romanzo l’andamento di una grande epopea storica sullo sfondo della sconfinata steppa russa. Alcuni critici hanno indicato ne – Il placido Don – il più alto esempio di realismo socialista; per altri invece è opera che ripete con abilità i temi del realismo psicologico tradizionale.

Michail Sciolochov – Il placido Don. Vol. II – La guerra continua

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Michail Aleksandrovic Solochov è nato a Kruzilino [Rostov] nel 1905, la sua nascita in terra cosacca,  sul Don, influì sulla tematica e sullo stile delle sue opere. In  mezzo ai cosacchi visse fino al 1918, partecipando poi, con una  banda bolscevica, alla guerra civile. Tornato sul Don dopo una parentesi moscovita, iniziò la sua monumentale narrativa epica con i  Racconti del Don (1925). In una tonalità derivata in gran parte dal  realismo tolstojano ma irrobustita dalla violenza espressiva del  folclore cosacco, tracciò l’epopea della sua gente nel perentorio  scenario della rivoluzione. Nell’ampio romanzo Il placido Don  (1928-1940) la storia non è fatta da uomini ma da eroi: Grigorij Melechov, la sua amante Aksinia, i compagni di lotta nell’armata di  cavalleria del leggendario Budënnyi, lo stentoreo Mishka Koshevoj,  sullo sfondo dell’antichissima terra dei cosacchi. Il romanzo è diviso in quattro parti: Il placido Don (1928), La  guerra continua (1929), I rossi e i bianchi (1933), Il colore della  pace (1940). Protagonista è Grigorij Melechov, cosacco del Don, promosso sotto-ufficiale nel corso della prima guerra mondiale sul fronte russo-tedesco. Allo scoppio della rivoluzione è per l’abolizione dello zarismo ma, nemico dei bolscevichi, guida una banda armata contro di loro, nella Russia meridionale. I bianchi lo trattano con diffidenza; dopo la spaventosa ritirata del Kuban al seguito dei generali bianchi Denikin e Wrangel, tra pestilenze e orrendi massacri, Melechov si rende conto che la causa dei bianchi è persa, decide di non seguire gli avanzi delle armate controrivoluzionarie che si imbarcano a Novorossijk per Costantinopoli. Resta e attende i bolscevichi. Entra nell’armata a cavallo del generale Budënnyi e partecipa alla campagna di Polonia. Il suo passato di comandante degli antisovietici lo rende sospetto e viene presto smobilitato. Fa ritorno al suo villaggio amministrato dai comunisti. Il presidente del soviet locale, suo cognato e vecchio amico Mishka Koshevoy lo accoglie con ostilità. Minacciato e perseguitato dai burocrati e dai politici, si nasconde, si unisce ai cosacchi che assaltano i distaccamenti rossi mandati a requisire vettovaglie. Con lui combattono i contadini della zona, incapaci però di opporsi all’Armata Rossa e presto sconfitti. Melechov dopo sette anni di lotte su tutti i fronti, dopo atti eroici, ferite, privazioni, è solo, senza nessun legame, confuso e amareggiato: moglie e genitori sono morti, l’amante uccisa, la casa semidistrutta. Gli rimane il figlio: con lui, sulla terra che lo ha visto nascere, ricomincerà una nuova vita. Da questo filone centrale si dipartono innumerevoli episodi, che danno al romanzo l’andamento di una grande epopea storica sullo sfondo della sconfinata steppa russa. Alcuni critici hanno indicato ne – Il placido Don – il più alto esempio di realismo socialista; per altri invece è opera che ripete con abilità i temi del realismo psicologico tradizionale.

Michail Sciolochov – Il Placido Don. Vol. III – I Rossi e i Bianchi

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Michail Aleksandrovic Solochov è nato a Kruzilino [Rostov] nel 1905, la sua nascita in terra cosacca,  sul Don, influì sulla tematica e sullo stile delle sue opere. In  mezzo ai cosacchi visse fino al 1918, partecipando poi, con una  banda bolscevica, alla guerra civile. Tornato sul Don dopo una parentesi moscovita, iniziò la sua monumentale narrativa epica con i  Racconti del Don (1925). In una tonalità derivata in gran parte dal  realismo tolstojano ma irrobustita dalla violenza espressiva del  folclore cosacco, tracciò l’epopea della sua gente nel perentorio  scenario della rivoluzione. Nell’ampio romanzo Il placido Don  (1928-1940) la storia non è fatta da uomini ma da eroi: Grigorij Melechov, la sua amante Aksinia, i compagni di lotta nell’armata di  cavalleria del leggendario Budënnyi, lo stentoreo Mishka Koshevoj,  sullo sfondo dell’antichissima terra dei cosacchi. Il romanzo è diviso in quattro parti: Il placido Don (1928), La  guerra continua (1929), I rossi e i bianchi (1933), Il colore della  pace (1940). Protagonista è Grigorij Melechov, cosacco del Don, promosso sotto-ufficiale nel corso della prima guerra mondiale sul fronte russo-tedesco. Allo scoppio della rivoluzione è per l’abolizione dello zarismo ma, nemico dei bolscevichi, guida una banda armata contro di loro, nella Russia meridionale. I bianchi lo trattano con diffidenza; dopo la spaventosa ritirata del Kuban al seguito dei generali bianchi Denikin e Wrangel, tra pestilenze e orrendi massacri, Melechov si rende conto che la causa dei bianchi è persa, decide di non seguire gli avanzi delle armate controrivoluzionarie che si imbarcano a Novorossijk per Costantinopoli. Resta e attende i bolscevichi. Entra nell’armata a cavallo del generale Budënnyi e partecipa alla campagna di Polonia. Il suo passato di comandante degli antisovietici lo rende sospetto e viene presto smobilitato. Fa ritorno al suo villaggio amministrato dai comunisti. Il presidente del soviet locale, suo cognato e vecchio amico Mishka Koshevoy lo accoglie con ostilità. Minacciato e perseguitato dai burocrati e dai politici, si nasconde, si unisce ai cosacchi che assaltano i distaccamenti rossi mandati a requisire vettovaglie. Con lui combattono i contadini della zona, incapaci però di opporsi all’Armata Rossa e presto sconfitti. Melechov dopo sette anni di lotte su tutti i fronti, dopo atti eroici, ferite, privazioni, è solo, senza nessun legame, confuso e amareggiato: moglie e genitori sono morti, l’amante uccisa, la casa semidistrutta. Gli rimane il figlio: con lui, sulla terra che lo ha visto nascere, ricomincerà una nuova vita. Da questo filone centrale si dipartono innumerevoli episodi, che danno al romanzo l’andamento di una grande epopea storica sullo sfondo della sconfinata steppa russa. Alcuni critici hanno indicato ne – Il placido Don – il più alto esempio di realismo socialista; per altri invece è opera che ripete con abilità i temi del realismo psicologico tradizionale.

Michail Sciolochov – Il Placido Don. Vol. IV – Il colore della pace

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Michail Aleksandrovic Solochov è nato a Kruzilino [Rostov] nel 1905, la sua nascita in terra cosacca,  sul Don, influì sulla tematica e sullo stile delle sue opere. In  mezzo ai cosacchi visse fino al 1918, partecipando poi, con una  banda bolscevica, alla guerra civile. Tornato sul Don dopo una parentesi moscovita, iniziò la sua monumentale narrativa epica con i  Racconti del Don (1925). In una tonalità derivata in gran parte dal  realismo tolstojano ma irrobustita dalla violenza espressiva del  folclore cosacco, tracciò l’epopea della sua gente nel perentorio  scenario della rivoluzione. Nell’ampio romanzo Il placido Don  (1928-1940) la storia non è fatta da uomini ma da eroi: Grigorij Melechov, la sua amante Aksinia, i compagni di lotta nell’armata di  cavalleria del leggendario Budënnyi, lo stentoreo Mishka Koshevoj,  sullo sfondo dell’antichissima terra dei cosacchi. Il romanzo è diviso in quattro parti: Il placido Don (1928), La  guerra continua (1929), I rossi e i bianchi (1933), Il colore della  pace (1940). Protagonista è Grigorij Melechov, cosacco del Don, promosso sotto-ufficiale nel corso della prima guerra mondiale sul fronte russo-tedesco. Allo scoppio della rivoluzione è per l’abolizione dello zarismo ma, nemico dei bolscevichi, guida una banda armata contro di loro, nella Russia meridionale. I bianchi lo trattano con diffidenza; dopo la spaventosa ritirata del Kuban al seguito dei generali bianchi Denikin e Wrangel, tra pestilenze e orrendi massacri, Melechov si rende conto che la causa dei bianchi è persa, decide di non seguire gli avanzi delle armate controrivoluzionarie che si imbarcano a Novorossijk per Costantinopoli. Resta e attende i bolscevichi. Entra nell’armata a cavallo del generale Budënnyi e partecipa alla campagna di Polonia. Il suo passato di comandante degli antisovietici lo rende sospetto e viene presto smobilitato. Fa ritorno al suo villaggio amministrato dai comunisti. Il presidente del soviet locale, suo cognato e vecchio amico Mishka Koshevoy lo accoglie con ostilità. Minacciato e perseguitato dai burocrati e dai politici, si nasconde, si unisce ai cosacchi che assaltano i distaccamenti rossi mandati a requisire vettovaglie. Con lui combattono i contadini della zona, incapaci però di opporsi all’Armata Rossa e presto sconfitti. Melechov dopo sette anni di lotte su tutti i fronti, dopo atti eroici, ferite, privazioni, è solo, senza nessun legame, confuso e amareggiato: moglie e genitori sono morti, l’amante uccisa, la casa semidistrutta. Gli rimane il figlio: con lui, sulla terra che lo ha visto nascere, ricomincerà una nuova vita. Da questo filone centrale si dipartono innumerevoli episodi, che danno al romanzo l’andamento di una grande epopea storica sullo sfondo della sconfinata steppa russa. Alcuni critici hanno indicato ne – Il placido Don – il più alto esempio di realismo socialista; per altri invece è opera che ripete con abilità i temi del realismo psicologico tradizionale.