Dalla scomparsa dell’Unione Sovietica, la Federazione Russa s’interroga sulla propria posizione nel mondo, tra la nostalgia del passato imperiale e il ridimensionamento della nuova Russia. Le risposte a questo interrogativo sono state diverse negli anni, riflettendo, da un lato, la situazione politica ed economica interna e, dall’altro, i mutamenti del contesto strategico globale. Si è passati così dall’«occidentalizzazione» della presidenza Elstin al cambio di rotta di Putin, con il recupero del ruolo di potenza euroasiatica, la centralizzazione e verticalizzazione del potere e la promozione dei valori considerati permanenti della civiltà russa. Questo saggio, a cura di ISPI, analizza i vari aspetti storici, economici, politici di questi passaggi cruciali, fornendo una mappa fondamentale per comprendere le complesse dinamiche di un attore di primaria importanza nell’ordine mondiale degli ultimi decenni.
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Francesco Benvenuti – La Russia dopo l’URSS. Dal 1985 a oggi
Nikita Kruscev – I problemi della pace
Gian Piero Piretto – La vita privata degli oggetti sovietici. 25 storie da un altro mondo
Anya von Bremzen – L’arte della cucina sovietica
Anya von Bremzen lascia l’Unione Sovietica nel 1974. Ha poco piú di dieci anni ed è al seguito dell’indomita madre Larisa che, da sempre insofferente alle stramberie del regime, prende una volta per tutte la decisione di emigrare il giorno in cui, in mancanza d’altro e di incarti di qualsivoglia natura, è costretta a portarsi a casa in mano un pezzo sanguinolento di carne di balena. Dall’Urss della stagnazione Anya si ritrova cosí nell’America dell’abbondanza, i cui supermercati zeppi di ogni prelibatezza suscitano negli esuli sovietici reazioni che vanno dal pianto di gioia alla paralisi di smarrimento. Ma per Anya bambina il cibo, spogliato del piacere della conquista, perde di colpo la sua magia. Finché, a diversi anni di distanza, non le viene per caso l’idea di scrivere un libro di ricette russe… Frutto maturo di quella passione ritrovata, L’arte della cucina sovietica mescola il tema cultural-gastronomico alla rievocazione di tragedie collettive e a memorabili frammenti di vita famigliare. Impossibile non tenere il fiato sospeso per il nonno, affascinante agente segreto coinvolto in rocambolesche imprese di guerra, e non ritrovarsi stizziti davanti all’ennesimo scivolone del padre, sdentato donnaiolo di abitudini oblomoviane. Delle grandi figure politiche del Novecento non manca nessuno: c’è Lenin, con la sua ascetica moderazione nel bere e nel mangiare; Stalin, con i suoi sontuosi banchetti in barba alla popolazione affamata; Chruscëv, con la sua comica ossessione per il granturco; Breznev, con il suo tipico immobilismo anche di fronte ai negozi vuoti; e Gorbacëv, con la sua impopolare crociata contro gli alcolici. Chiude la carrellata Putin, che, nella satolla Russia degli eccessi, per i pranzi del Cremlino sceglie una raffinata frugalità con richiami alla tradizione. Chi, ingolosito dalla lettura, volesse poi un assaggio concreto della cucina sovietica, potrà mettersi ai fornelli e sperimentare le ricette contenute nell’ultima parte del libro, una per ogni decennio raccontato.
Anne Applebaum – La cortina di ferro. La disfatta dell’Europa dell’Est 1944-1956
Alla fine della seconda guerra mondiale l’Unione Sovietica si trovò a controllare gran parte dell’Europa orientale, e i suoi leader, che avevano instaurato con pugno di ferro nelle varie regioni dell’ex impero zarista un regime totalitario, non esitarono a imporlo anche ai paesi europei caduti sotto la loro occupazione. Così il tallone sovietico subentrò a quello nazifascista, e in un arco di tempo straordinariamente breve l’Est europeo venne isolato dietro una «cortina di ferro» in un senso ben più che metaforico: a separarlo dall’Occidente erano barriere e recinzioni di filo spinato sorvegliate da uomini armati. E nel 1961, l’anno in cui fu eretto il Muro di Berlino, si sarebbe detto che quel possente sbarramento fosse destinato a durare per sempre.
Frank Close – Vita divisa. Storia di Bruno Pontecorvo, fisico o spia
La comunicazione sulle possibili attività spionistiche di Bruno Pontecorvo, spedita da Washington, venne intercettata da Kim Philby, un agente inglese che agiva come spia per i sovietici, nel luglio del 1950. Sei settimane più tardi, Pontecorvo, un fisico di Harwell, il laboratorio di fisica nucleare del Regno Unito, sparì senza lasciare traccia all’età di 37 anni, proprio qualche mese dopo la condanna della spia atomica Klaus Fuchs, un suo collega. Quando ricomparve, cinque anni più tardi, Pontecorvo si trovava dall’altra parte della cortina di ferro. Era uno dei più geniali scienziati della sua generazione, ed era al corrente di molti segreti: aveva infatti lavorato al Manhattan Project anglo-canadese e aveva fornito un contributo fondamentale alle ricerche sulla fissione nucleare. Quando sparì, però, il controspionaggio del Regno Unito sostenne che le informazioni in suo possesso non erano tali da mettere in pericolo la sicurezza dell’Occidente. Quella dello scienziato fu una personalità divisa in due parti complementari: in una Bruno Pontecorvo, ricercatore estroverso, sempre in vista, brillante, e nell’altra Bruno Maksimovic Pontekorvo, figura enigmatica, oscura, strettamente legata, con devoto impegno, al sogno comunista. Oggi, grazie alla possibilità di accedere a nuovi archivi e carteggi, e dopo aver intervistato membri della famiglia e i colleghi scienziati, Frank Close si chiede se la fuga di Pontecorvo fu davvero l’atto finale di una carriera da spia, cercando di far luce sulla vita di un uomo segnato dall’avvento dell’era atomica e della guerra fredda.
Miriam Mafai – Il lungo freddo. Storia di Bruno Pontecorvo, lo scienziato che scelse l’URSS
Pier Paolo Poggio – Marx Engels e la rivoluzione russa
La caratteristica essenziale della storia russa sino al XX secolo è rappresentata dalla lentezza dell’evoluzione del paese, determinata, prima ancora che dalle cause specificamente storiche, dalle sue stesse condizioni naturali. Lo scarto tra periodo di produzione e periodo di lavoro, proprio della agricoltura, era molto aggravato in Russia dalle condizioni climatiche ed imponeva la combinazione tra agricoltura e artigianato rurale domestico, un modo di produzione molto stabile e retto dalla tradizione che portava inevitabilmente ad una situazione di stagnazione. (Dal I capitolo)
Roberto Sinigaglia – Mjasnikov e la rivoluzione Russa
Questo testo riguarda la posizione e la storia del «gruppo operaio» e del suo leader più noto, Gabriel Mjasnikov. Mentre, tra il ’17 e il ’23, a poco a poco la « rivoluzione» si trova sempre più isolata, il «gruppo operaio» confuta la tesi che vede l’isolamento della rivoluzione come esclusivo prodotto di elementi esterni: guerra civile, fame, arretratezza. Il tentativo di rivoluzione negli Urali e il «manifesto» del gruppo contestano sia una intelligenza economica che una qualità politica alla genesi stessa del bolscevismo, ridando della rivoluzione russa una lettura « da sinistra», che forse più semplicemente è una lettura che mantiene viva l’istanza di liberazione di molti che vi aderiscono. L’interesse particolare di questa pubblicazione risiede nella dialettica tra il tentativo della rivoluzione negli Urali e lo svolgersi del processo rivoluzionario bolscevico nella Russia. Mjasnikov è come una cartina tornasole della qualità politica del processo bolscevico. La rivoluzione bolscevica ha successo e condanna Mjasnikov e il gruppo operaio alla sconfitta. Ma cosa ha successo e cosa viene sconfitto? Si tratta di due linee divergenti: di due strategie? Una più decisa dittatura del proletariato tramite il partito, da un lato, e una più imprecisa proposta consigliarista, dall’altro? Senza dubbio rispetto alle formulazioni teorico-pratiche di Lenin, Mjasnikov e il gruppo operaio sono imprecisi, forse utopisti. Ma, e qui risiede il fenomeno che fa da cartina tornasole alla qualità politica del processo bolscevico, dall’esperienza del gruppo di Mjasnikov emerge una qualità di vita, una esperienza di unità che non può non iniziare in situazioni particolari e ancora contraddittorie.