Fernando Pessoa – Messaggio

Messaggio

Mensagem, Messaggio, è l’unica raccolta poetica pubblicata da Fernando Pessoa durante la sua vita. L’atto della pubblicazione segna, agli occhi del poeta portoghese, la rinuncia alle infinite potenzialità di metamorfosi di un testo. È per questo che, nonostante la concezione precoce (almeno dal 1913), Messaggio è stato edito solo nel 1934, un anno prima della morte dell’autore. In questo libro araldico, che vuol essere monumento, in questa “cattedrale testuale” dalla struttura profondamente unitaria e insieme composita, mista di epica, lirica e dramma, Pessoa racchiude quarantaquattro componimenti. Suddivisi in tre parti, i testi seguono la storia portoghese nel suo farsi e soprattutto profetizzano la rinascita del Portogallo quale fulcro di un Impero dello spirito, destinato a prendere il posto di quello costruito grazie al dominio sui mari. Un testo dai profondi echi esoterici e iniziatici – qui presentato a cura di Giulia Lanciani in una nuova affascinante traduzione con l’originale portoghese a fronte – nel quale mito, sogno e letteratura si confondono e si fondono in un’unica figurazione di inesausta, misteriosa ricchezza.

Adam Zagajewski – Dalla vita degli oggetti. Poesie 1983-2005

I versi che Adam Zagajewski ha scelto per l’ampia antologia che qui presentiamo riflettono la fase più alta e matura della sua produzione. Messo a confronto con interrogativi e dilemmi, con il mondo della natura e della storia, il poeta coglie tutte le contraddizioni della nostra condizione: «La sua è una tessitura in cui fiori, alberi e uomini convivono in un’unica scena. Ma questo mondo ricreato dall’arte non è un luogo di fuga, al contrario è in relazione con la cruda realtà di questo secolo» ha scritto Czesław Miłosz. E se nelle metropoli occidentali un’umanità priva di passioni paga il benessere con la noia, l’indifferenza e la solitudine, egli può catturare – grazie a un’illuminazione interiore che si traduce nel «fervore» dei versi – l’istante in cui l’esperienza del dolore si fonde con quella della bellezza e l’aura del divino si manifesta anche nella realtà più misera: «La pelle levigata degli oggetti / è tesa come la tenda di un circo. / … / Siamo come palpebre, dicono le cose, / sfioriamo l’occhio e l’aria, l’oscurità / e la lu­ce, l’India e l’Europa. / E all’improvviso sono io a parlare: sapete, / cose, cos’è la sofferenza?…». Così, nella poesia di Zagajewski, l’invisibile si coniuga con il mondo concreto, e l’anima si fonde con le cose della terra, dando vita a quell’assoluto quotidiano che spiega il complesso intrecciarsi di destino individuale e universale.

Ottiero Ottieri – Poemetti. Vi amo. L’infermiera di Pisa. Il palazzo e il pazzo

Poemetti

Per la prima volta riuniti in un unico volume, i tre poemetti autobiografici di Ottieri mostrano la continuità che li lega e appaiono ancora piú potenti. Sono tre monologhi torrenziali, un’unica confessione estrosa e tragicomica in bilico tra la sanità e la malattia, il privato e il politico, la follia e il desiderio sfrenato. L’ironia è la chiave di questa partitura in tre movimenti. L’autoironia e l’autodenigrazione sembrano uno sberleffo sull’orlo del baratro, uno sberleffo che, attraverso il caso individuale, colpisce il mondo intero. La malinconia e la disperazione sono come nascoste dalla maschera teatrale, dai giochi di parole, dalle rime impreviste, ma costituiscono la struttura profonda dei poemetti, il luogo dove immancabilmente vanno a finire le ossessioni dell’autore e il mondo esterno, risucchiato anch’esso in una spirale senza fine.

Friedrich Hölderlin – Le liriche. Testo tedesco a fronte

cover0001La presente edizione, pubblicata per la prima volta nei «Classici» fra il 1977 e il 1978, propone, con testo a fronte, tutta l’opera lirica di Hölderlin, comprese le «liriche della follia». La traduzione di Enzo Mandruzzato osa essere una vera versione poetica, cioè un testo italiano scrupolosamente vicino all’originale ma leggibile di per sé come poesia – e non semplicemente come guida linguistica al testo tedesco. Un suo lungo saggio, che traccia un emblematico profilo della vita di Hölderlin, accompagna le traduzioni. Le liriche sono annotate, e il testo tedesco, pur fondato sulla canonica edizione Beissner, tiene presente anche gli ultimi dibattiti sui vari problemi filologici hölderliniani.

Czeslaw Milosz – Poesie

«Non ho alcuna esitazione nell’affermare che Czesław Miłosz è uno dei più grandi poeti del nostro tempo e forse il più grande» scriveva qualche anno fa un altro poeta, Iosif Brodskij. Poi giunse, nel 1980, il premio Nobel – e molti lettori in tutto il mondo cominciarono a scoprire l’opera complessa e intensa di questo scrittore, che da anni si trovava nella paradossale condizione di essere circondato da persone che non leggevano la sua lingua, mentre i suoi libri erano proibiti a coloro che la leggevano. Nato in Lituania nel 1911, esule dalla Polonia sin dal 1951, Miłosz «ha ricevuto quella che si potrebbe definire l’educazione standard dei paesi dell’Europa orientale, che ha incluso, fra l’altro, l’esperienza del cosiddetto Olocausto, già da lui profetizzata nelle liriche della seconda metà degli Anni Trenta». E «la sua terra, dopo essere stata devastata fisicamente, gli venne sottratta e distrutta spiritualmente» (Brodskij). Questo poeta metafisico, in perpetua complicità con l’invisibile, è stato costretto dalla storia a vivere l’invisibile innanzitutto nella sua forma più letterale e più ossessiva: come ressa dei morti e delle cose scomparse. Il poeta è qui sempre il sopravvissuto, che si mormora un verso sobrio e terribile. «E il cuore non muore quando sembra che dovrebbe». Quei morti sono subito «lontani come l’imperatore Valentiniano, / come i condottieri dei Massageti, di cui non si sa nulla», eppure tendono a riapparire, seduti a un caffè familiare, e guardano il sopravvissuto, «scoppiando a ridere». Che il passato sia connesso a una devastazione totale dà alla memoria, in Miłosz, una dimensione di conquista dell’immagine sul fondo del vuoto. Per questo ogni oggetto, ogni nome, ogni albero da lui nominato hanno una tale evidenza, lacerata ed estatica. Essi si pongono tutti vicino a quella «frontiera mobile / Oltre la quale colore e suono si compiono / E sono congiunte le cose di questa terra». Quella frontiera ci separa da una terra visionaria: Blake e Swedenborg ne hanno dato notizia, e la loro voce risuona in Miłosz. Nel suo verso spesso vibrano insieme una «vastità cosmica della visione» (per lui il primo criterio della grande poesia) e la pura attenzione, insegnata da Simone Weil. Allora, sottintesi tutti i naufragi, il poeta torna a essere «uno dei tanti / Mercanti e artigiani dell’Impero del Giappone / Che componevano versi sui ciliegi in fiore, / I crisantemi e la luna piena».

Nina Cassian – C’è modo e modo di sparire. Poesie 1945-2007

C'è modo e modo di sparire. Poesie 1945-2007

Ultima figura emblematica di una ormai classica tradizione modernista, erede e testimone di quel fecondo ambiente romeno di cui facevano parte Brancusi e Tzara, Ionesco, Eliade e Cioran, e come loro inevitabilmente esule, Nina Cassian ha percorso un tragitto artistico e umano singolare come la sua persona. Nel 1985 durante un soggiorno negli Stati Uniti finisce nel mirino della polizia, che ha scoperto certi suoi testi a dir poco caustici contro la politica e i politicanti del Paese: decide allora di non tornare in patria e chiede asilo politico. Qui, sostenuta e tradotta da vari poeti americani, rinasce a nuova vita. E la scelta, la riproposta, la traduzione, a volte la vera e propria ricreazione delle poesie romene precedenti l’esilio, nonché la stesura di nuovi componimenti – in romeno prima, e dopo qualche anno anche in inglese -, alimenteranno un corpus notevole. Il timbro è unico: diretto, spudorato, strenuamente lirico, a tratti disarmante, a tratti sornione, arguto e brutale al tempo stesso – e nudo. Si passa dalle punte epigrammatiche avvelenate ai voli pindarici sulle ali d’organo di un Bach – non per niente la Cassian compone musica: e dipinge, disegna, illustra libri anche per l’infanzia, spesso scritti da lei -, e ogni volta queste poesie, come ha scritto Vittorio Sermonti, ci riguardano da vicino, “sconvenientemente”.

Guido Ceronetti – come un talismano

Come un talismano

Per vari decenni, Guido Ceronetti ha incontrato testi che gli si imponevano come accompagnatori silenziosi. Erano parole scritte in greco, in ebraico, in spagnolo, in arabo, in tedesco, in latino, in inglese, in francese. E, nella loro lunga permanenza, quasi di squatters della mente, quei testi via via esigevano di essere detti anche in italiano, e in versi (anche se non tutti, in origine, erano in versi). Quella compagnia si rivelò, nel tempo, a Ceronetti, e vorrebbe ugualmente rivelarsi a ogni lettore di questo libro, come una potente medicina. Remedium vitae, più che remedium amoris, riesce a essere, talvolta, la parola poetica. E Ceronetti, cultore di ogni medicina paradossale, si è avvinto a questo significato. Così è nato questo libro, terribilmente personale e terribilmente anonimo, e insieme composto di molti nomi. Fra questi: Eraclito, Giovanni Evangelista, Nostradamus, Blake, Saffo, Schopenhauer, Virgilio, Hallâj, Villon, Mani, Kavafis, Spinoza, Machado, Artaud, Melville, Hardy, Emily Brontë, Hernández, Nietzsche, Verlaine, Trakl, Montesquieu, Lucrezio, Baudelaire, Zola, Céline. Questi ultimi due nomi potranno, ancor più di altri, sorprendere, perché appartengono a due maestri della prosa, e oltre tutto di una prosa che ha molta difficoltà a passare in quella italiana. Ma i loro testi avevano, per Ceronetti, lo stesso carattere degli altri elencati. Perciò li troveremo qui tradotti in versi, per un azzardo felice che dà finalmente una voce, nella nostra lingua, a questi due scrittori.

Charles Simic – Club midnight

cover0001L’inconfondibile impasto di mistero e quotidianità e la trasparenza della parola che li dice hanno subito fatto riconoscere in Charles Simic uno dei maggiori poeti contemporanei. E in questo libro, che raduna My Noiseless Entourage e una scelta dai Selected Poems, il suo universo – fisico e mentale – si mostra con una vividezza abbagliante. Un universo di interni desolati e di periferie hopperiane abitate da gente anonima, dove gli oggetti sembrano giacere spaesati dopo aver perduto ogni funzione. Un’America di luoghi e immagini di memorabile intensità – cinematografi abbandonati, bische clandestine, biblioteche di quartiere, diner notturni, giardini deserti, polvere, specchi, strade senza fine, cicli di un azzurro perenne -, dove si affacciano ombre e presenze indecifrabili, sospetto di metafisica subito soffocato dallo scetticismo e dall’ironia.