Enzensberger è autore poliedrico: saggista, pamphlettista, romanziere, scrittore per l’infanzia, memorialista. Però forse i suoi libri entrati piú vigorosamente fra i classici del Novecento sono quelli di poesia. E Mausoleum, uscito in Germania nel 1975, è una pietra miliare del suo itinerario poetico. È un libro costituito da trentasette ballate dedicate ad altrettanti personaggi che hanno fatto, come dice il sottotitolo, «la storia del progresso »: da Giovanni de’ Dondi che nel Trecento costruí l’orologio di Padova a un altro italiano, Ugo Cerletti, che sei secoli dopo inventò l’elettroshock. In mezzo: Campanella, Leibnitz, Linneo e tanti altri pensatori e scienziati.
Se già Leopardi diffidava delle «magnifiche sorti e progressive» del mondo, Enzensberger ha uno sguardo ancora piú perplesso sulla modernità. Per lui l’aspirazione al dominio totale della natura ha creato un modello destinato a portare l’umanità al disastro. E a volte ha forgiato un tipo di scienziato squilibrato, sadico, dai deliri onnipotenti, come quello della ballata dedicata a Lazzaro Spallanzani che si eccitava compiendo mostruosità sugli animali «a fini di studio».
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Fernando Pessoa – Faust
Una voce monologante, tragica e disperata, trascina il suo lamento lungo tutto questo frammentario poema drammatico. E’ la voce di un poeta, povero Faust solitario partito all’esplorazione delle sua coscienza e giunto alla visione del vuoto e dell’abisso. Ma è anche una delle ‘voci’ che abitarono Pessoa, uno dei suoi fantasmi, in questo caso con un’anagrafe e una biografia solo culturali, che parla dentro il poeta come un’ossessione e una maledizione. Denominato da Pessoa ‘tragedia soggettiva’, questo ‘Faust’ astratto e metafisico ha ormai lasciato l’ideale faustiano della Conoscenza e del Progresso per cantare l’inanità della vita, l’impossibilità di conoscere, il terrore della morte. Se accettiamo il suggerimento di Roman Jakobson di leggere Pessoa nel contesto dei grandi artisti mondiali nati sul limitare del Novecento, in compagnia di Stravinsky e di Joyce, non possiamo negare che questo ‘Faust’ soggettivo somigli a un ‘notturno’ suonato su una partitura di Stravinsky, ad una voce disperatamente balbettante recitata su un monologo interiore joyciano. In più ci sono la teosofia e l’esoterismo, coltivati da Pessoa per tutta la vita, che venano di mistero il poema; e con questa cifra potrebbero essere lette le altre voci che fanno da controcanto al lamento di Faust: voci che appartengono ai lemuri, ectoplasmi, spettri chiamati a declamare, sul palco della poesia, il doloroso vagabondaggio di un’anima.Antonio Tabucchi
Fernando Pessoa – Trentacinque sonetti
“Nel 1918 usciva a Lisbona una piccola raccolta di poesie inglesi di Fernando Pessoa. Il suo titolo era semplice e al tempo stesso evocativo: “35 Sonnets”. Lo scrittore vi aveva raccolto i suoi sonetti shakespeariani, che aveva iniziato a comporre dal 1910. Perché Fernando Pessoa, per la sua prima pubblicazione autonoma, sceglie come modalità poetica il sonetto elisabettiano? Egli lo elegge a suo mezzo espressivo perché in sé esso racchiude molto di ciò che Pessoa voleva far conoscere della sua poesia nel momento del suo esordio “pubblico”.” (dalla prefazione di Ugo Serani)
Simone Celani – Fernando Pessoa
Eduardo Lourenço, uno dei maggiori critici e saggisti portoghesi viventi, ha scritto che l’unica guida lecita all’opera pessoana è Pessoa stesso. La vulgata relativa alla sua opera si basa invece ancora su una serie di miti critici, nati subito dopo la morte del grande poeta e mai completamente debellati; innanzitutto, che egli sia un autore legato esclusivamente alla fama postuma e in vita pressoché ignorato, morto indigente e incompreso. Studi più attenti hanno dimostrato come la sua grandezza fosse chiara già dalle opere pubblicate in vita, a partire dalla geniale produzione poetica legata all’invenzione degli eteronimi.
Il volume rappresenta una breve ed efficace guida all’ingresso nell’universo pessoano, alla luce delle più recenti acquisizioni critiche e scientifiche. Partendo dalla contestualizzazione delle principali tappe biografiche, dalle condizioni e i luoghi in cui le sue opere sono state pubblicate, si giungerà a possedere tutti gli strumenti utili a effettuare un’attenta analisi dei numerosi indizi critici che lo scrittore stesso ha lasciato e delle opere più importanti pubblicate prima e dopo la sua morte.
In chiusura, viene fornita una visione d’insieme del suo immenso Fondo e di ciò che esso deve ancora rivelare al pubblico, oltre a una breve antologia di testi, scelti tra i più illuminanti a livello critico, a cui si aggiunge un breve, sorprendente inedito.
Iosif Brodskij – Conversazioni
Vladimir V. Majakovskij – Poesie
Vladimir V. Majakovskij – Cinema e cinema
Ripensare oggi alla figura di Vladimir Vladimirovic Majakovskij significa tornare indietro con la memoria alla stagione delle avanguardie artistiche del novecento, a quell’epoca di rottura di cui il poeta è stato non solo cantore ma anche vittima. Nel centenario della nascita, il ritratto inedito di Majakovskij critico cinematografico e sceneggiatore che lotta contro il potere perché il cinema si affermi come l’arte del ventesimo secolo.
Vladimir V. Majakovskij – Opere scelte
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Aleksandr Blok – Poesie
Nessun poeta, dopo Puskin, ha avuto una influenza sulla poesia russa paragonabile a quella di Aleksandr Blok, nato a Pietroburgo nel 1880 e dunque appartenente alla generazione di pochi anni precedente a quella dei Majakovskij, Esenin, Pasternak. Talento vivissimo, pubblicò a ventiquattro anni una delle sue opere fondamentali, quei “Versi della Bellissima Dama” che lo rivelarono immediatamente come il caposcuola della poesia simbolista. Ma la poesia di Blok raggiunse il culmine della sua intensità lirica nelle opere di poco successive, quando, come scrive Bruno Carnevali nella prefazione al nostro volume, “la Bellissima Dama, l’ipostasi femminile della divinità, che nel metafisico e immobile disegno simbolista doveva essere la metafora dell’ineffabile incontro con la realtà più reale, d’improvviso si vanifica, si rifiuta all’amante, e la Bellissima si fa Sconosciuta”, volgendo così il tema metafisico in una più amara esperienza esistenziale. Vicino agli anarchici mistici al tempo della rivolta del 1905, la rivoluzione bolscevica fu da lui salutata come la rinascita dell’anima russa, e gli dettò il più famoso dei suoi poemi, “I dodici”, raffigurante un drappello di soldati che presidiano le strade di Pietroburgo nell’inverno della rivoluzione. L’epica amara di questo straordinario poema chiude anche simbolicamente la parabola creativa del grande scrittore russo, che si spense soltanto tre anni più tardi, nel 1921.