Thomas Bernhard – Teatro III. L’apparenza inganna. Ritter, Dene, Voss. Semplicemente complicato.

Teatro III

In queste tre pièce Bernhard concentra la sua attenzione su quella figura di interprete-esecutore-attore che è al centro di tutta l’impalcatura della sua opera e di cui egli ora, riducendo al massimo i termini della rappresentazione, rimette in gioco il senso. (…) Contraddizione e spettacolo come termini interscambiabili. Soprattutto L’apparenza inganna e Semplicemente complicato mimano le contraddizioni di cui è fatta non solo l’esistenza dell’attore, ma quella di chiunque tenti di arrivare a una propria rappresentazione del mondo. dal saggio introduttivo di Eugenio Bernardi

Friedrich Hebbel – Diari

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Sono cronache argute, taglienti aforismi e profondi pensieri, questi Diari di Friedrich Hebbel: «riflessioni, sotto forma di diario, sul mondo, la vita e i libri, ma soprattutto su me stesso». Un classico tedesco si racconta, vitalmente radicato nella totalità ottocentesca e proteso verso il nichilismo novecentesco. L’universo poetico presente nei Diari è un grande mosaico della realtà e insieme una tormentata indagine dei lati più oscuri dell’uomo. Il senso dell’ordine che traspare dai Diari, messo in luce e anche criticato da Bertolt Brecht, è più che altro apparente, e rappresenta un disperato tentativo di dare forma all’esistenza. Come sostiene Claudio Magris, in questi affascinanti Diari, “specchi dell’anima” oppure “del mondo”, il pathos inquieto e contraddittorio, ottocentesco, è in realtà più vicino a noi di quanto non sembri. Essi offrono anche uno sguardo su eventi storici e sociali del tempo, come la rivoluzione del 1848-49; o l’attentato a Francesco Giuseppe; o la lunga conversazione con Metternich. Il drammaturgo Christian Friedrich Hebbel (Wesselburen, 1813 – Vienna, 1863) alla morte del padre muratore si impiegò come scrivano parrocchiale. Dopo gli studi ad Amburgo, alle prese con continui problemi economici, visse a Heidelberg e a Monaco, dove scrisse i suoi primi drammi teatrali, fra cui Judith (1814), libera rielaborazione della vicenda biblica. Seguirono Maria Magdalena (1 844), un attacco all’etica borghese e alla sua inumana concezione dell’onore; Herodes e Marianne (1850); Agnes Bernauer (1855), dramma della ragion di stato; Gyes e il suo anello (1856); la trilogia I Nibelunghi (1862).

Magnus H. Enzensberger – Dialoghi tra immortali, morti e viventi

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“Dialogo tra immortali, morti e viventi” riunisce tre dialoghi scritti negli anni Ottanta da Hans Magnus Enzensberger (1929). I protagonisti dei tre testi sono celebri scrittori “di confine”, cioè autori che concepirono la scrittura come attraversamento di generi letterari e di campi del sapere differenti. Sono tutti iniziatori di importanti correnti di pensiero: Alexander Herzen, padre del populismo russo, riflette sulle sorti della rivoluzione insieme a uno studente; Chuang-tzu, uno dei massimi esponenti del Taoismo, è alle prese con il dio del destino; Denis Diderot, ideatore dell’Encyclopédie, si confessa a un inviato del XX secolo. Il genere scelto, quello del dialogo, costituisce uno degli aspetti più interessanti di quest’opera in cui con grande originalità si fondono valori estetici e intenti conoscitivi.

Wolfgang Koeppen – La morte a Roma

La morte a Roma

Un’inquietante e grottesca riunione familiare si trasforma in un’autentica discesa agli Inferi, nella scenografia di una Roma estiva anni cinquanta, tra atmosfere neorealiste e luci rarefatte da crepuscolo degli dèi, tra i primi aurei riflessi del boom economico e l’oscurità silenziosa e immutabile dei vicoli del centro. Qui convergono un ex generale delle SS, riparato in Medio Oriente sotto falso nome, la moglie, un’esaltata Erinni nordica nostalgica del Führer, e il cognato, zelante funzionario del Terzo Reich ora riciclatosi borgomastro nella Germania di Adenauer; qui si aggirano, in fuga dalla famiglia e da se stessi, i figli – un compositore di musica dodecafonica e un diacono – incalzati dalla necessità di espiare orrori che non furono loro a commettere. Con implacabile occhio critico Koeppen costruisce una storia che mette a nudo le tare segrete dello spirito tedesco, la pulsione di morte che si nasconde dietro ogni esaltazione mitica della potenza e che sfociò nelle apocalissi del Nazionalsocialismo. Ed è grazie al suo distacco ironico e al suo vigile sguardo da moralista se nel mosaico dei personaggi e delle voci monologanti – così magistralmente ricreate – la figura classica del nazista massacratore non resta più confinata entro i consueti schemi descrittivi di una personalità piccolo borghese e autoritaria, ma grandeggia sinistra. Il Dioniso nazista di Koeppen, che sprofonda via via nelle zone più basse del grande ventre cittadino, da una parte manifesta una ripugnante vitalità e voracità, una sadica e letale compresenza di desiderio e disgusto, dall’altra è un morituro, un disertore della vita e un baccante della morte, per dirla con Thomas Mann che in tal modo definiva il protagonista della Morte a Venezia – a cui Koeppen si richiama fin dal titolo. Wolfgang Koeppen (1906-1996), consacrato come uno dei più importanti scrittori tedeschi contemporanei, è senz’altro il più autorevole esponente della cosidetta “letteratura del dopoguerra”.

 

Karl Kraus – Gli ultimi giorni dell’umanità. Tragedia in cinque atti con preludio ed epilogo

Gli ultimi giorni dell’umanità stanno al centro dell’opera di Karl Kraus, come il Minotauro nel labirinto. Tutti i suoi saggi, i suoi aforismi, i suoi pamphlets, le sue liriche convergono verso questo testo di teatro irrappresentabile, che accoglie in sé tutti i generi e gli stili letterari, così come la realtà di cui parla – quell’irrappresentabile evento che fu la prima guerra mondiale – racchiudeva in sé le più sottili e inedite varietà dell’orrore. Per Kraus, fin dall’inizio, la guerra fu un intreccio allucinatorio di voci, dal «quotidiano, ineludibile, orrendo grido: Edizione straordinaria!» alle chiacchiere dei capannelli, dalle dichiarazioni tronfie e ignare dei Potenti ai ‘pezzi di colore’ della stampa, sino all’inarticolato lamento delle vittime.

Werner Kraft – Il garbuglio

Il garbuglio a cui accenna il titolo di questo romanzo è cosa che dovrebbe essere ben nota, perché il mondo vi è ancora avviluppato: una rete dove ogni parola vuol dire qualcosa di diverso da ciò che dichiara e dove l’equivoco è l’ordine. Werner Kraft, con un’intensa opera di concentrazione, lo ha rappresentato sotto forma di corrusca parabola romanzesca, cogliendolo per così dire alle sue scaturigini storiche, nella Parigi dei primi anni del nazismo, percorsa da esuli tedeschi la cui vita si svolge ormai in un clima di rovina, di vaticinio escatologico, di ironia blasfema, di resistenza disperante. L’ala spezzata dell’Angelo della Rivoluzione sfiora e sconvolge questi esseri nella misteriosa figura di Angela – e non si sa se questo contatto porti la condanna o la salvezza: ma è sempre lei che intravediamo fra le maglie di un fitto intrigo che è insieme poliziesco, onirico e mistificatorio. Ed è lei al centro del girotondo cerimoniale a cui partecipano i vari personaggi, tutti inconsapevolmente legati in una sorta di setta romantica, obbligati dalle leggi del garbuglio a scambiarsi di continuo segreti e malintesi, ad apparire ogni volta come messaggeri, indiscernibilmente falsi e veri, a ripercorrere ognuno i passi degli altri, senza mai la quiete di una sicurezza. L’Angelus Novus di Klee, il Walter Benjamin degli ultimi anni, la morte silenziosa di Karl Kraus, la dialettica dell’illuminismo, il richiamo di un marxismo teologico, la disfatta della lingua tedesca, la tragica relazione fra Ebrei e Germania – tutto ciò aleggia imprendibile e onnipresente in questo romanzo, che è fino a oggi l’unica testimonianza d’arte su quel peculiare clima, lugubre ed eminentemente simbolico.

Jean Paul – Giornale di bordo dell’aeronauta Giannozzo

Giornale di bordo dell'aeronauta Giannozzo

Giannozzo, briccone romantico, viene preso dal desiderio di un’ascensione in mongolfiera al solo udire la parola revenant. «Qualcuno la pronunciò per caso davanti a me: io immaginai la gioia ineffabile di essere un fantasma». Spiegate le «azotiche ali» della sua mongolfiera, munito di un piccolo corno da postiglione e di un binocolo da guerra, Giannozzo si libra sui minuscoli Stati della Germania alla fine del Settecento: le città gli appaiono come «banchi di ostriche», abitate da figurine di piombo, semplici comparse, «provinciali senza spirito né religione». Con improvvise incursioni l’aeronauta getta lo scompiglio in quelle terre: libera pipistrelli dalle sue tasche durante un pranzo di Corte, spia incontri amorosi dall’occhio di una rotonda, esorta beffardamente alla coerenza gli abitanti di una lugubre cittadina di esemplare produttività, perché innalzino lo Stato «al punto da diventare una vera e propria casa di pena e di lavoro» – e poi risale sulla sua navicella. È l’eterno trickster, il «briccone divino», che qui si reincarna in Giannozzo, cosmico voyeur di tutti i «teatri della vita», patinato di ironia romantica. Ma l’età moderna non tollera a lungo tali agenti del disordine mercuriale, che obbediscono a un solo precetto: «Lo scherzo è inesauribile, la serietà no». E l’euforia del volo si mescola fin dall’inizio con il presagio pungente della catastrofe. Jean Paul, come Sterne, è un «guardiano della soglia», che segnala l’ingresso a tutta la letteratura moderna. La sua prosa, colma di estri geniali, straripante di metafore, è un preludio a tutte le audacie che verranno – e il “Giannozzo”, nella perfetta misura del suo incantevole farneticare, potrebbe esserne il simbolo.

Hermann Hesse – Siddhartha

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A cinquant’anni dalla morte di Hesse, la sua opera più universalmente nota viene riproposta in un’edizione arricchita da un prezioso apparato: pagine di diario, lettere e riflessioni che ne illuminano aspetti poco o per nulla conosciuti; commenti e reazioni di scrittori e di critici quali Ro­main Rolland, Hugo Ball e Stefan Zweig; fotografie, riproduzioni di lettere e documenti che consentono di calarsi nel mondo e nelle atmosfere da cui il Siddhartha è scaturito. Una polifonia di voci e immagini che conferirà più nitidi contorni e nuove sfaccettature a questa parabola romanzesca che da quasi un secolo – la prima edizione in lingua tedesca è del 1922 – non cessa di affascinare i lettori, generazione dopo generazione.

Hermann Hesse – Siddharta

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Chi è Siddhartha? È uno che cerca, e cerca soprattutto di vivere intera la propria vita. Passa di esperienza in esperienza, dal misticismo alla sensualità, dalla meditazione filosofica alla vita degli affari, e non si ferma presso nessun maestro, non considera definitiva nessuna acquisizione, perché ciò che va cercato è il tutto, il misterioso tutto che si veste di mille volti cangianti. E alla fine quel tutto, la ruota delle apparenze, rifluirà dietro il perfetto sorriso di Siddhartha, che ripete il «costante, tranquillo, fine, impenetrabile, forse benigno, forse schernevole, saggio, multirugoso sorriso di Gotama, il Buddha, quale egli stesso l’aveva visto centinaia di volte con venerazione».