L’opera di Alfred Lichtenstein appartiene agli anni splendidi dell’espressionismo tedesco, fra il 1910 e il 1914: anni in cui i giovani autori si chiamavano Gottfried Benn, Else Lasker-Schüler, Georg Heym, Jakob van Hoddis, e in cui, ognuno per la sua via, si rivelavano Georg Trakl e Franz Kafka. Di quel breve periodo Lichtenstein è una figura limite, perché tutto il suo operare vi è racchiuso: nel settembre 1914, a soli venticinque anni, egli sarebbe caduto al fronte fra le prime vittime della guerra.
Le prose che qui si pubblicano – racconti, brevi schizzi e appunti – sono tenute insieme dal progetto di un romanzo incompiuto. Con tono inconfondibile di finto candore e leggerezza da cabaret, Lichtenstein disegna ritratti corrosivi, illumina ombre scandalose di una società che non sapeva di essere finita. L’allegra disperazione del nichilismo dà al suo gesto un’eleganza che ben pochi fra i suoi, anche illustri, coetanei hanno raggiunto. In poche pagine Lichtenstein riesce a mettere in piedi una tragicommedia permanente i cui protagonisti, spesso facilmente riconoscibili, sono i più noti scrittori espressionisti e le donne del loro ambiente: i luoghi variano, a Berlino, fra il famoso Café des Westens, redazioni di riviste letterarie, camere ammobiliate e vicoli notturni. Qui l’avanguardia, già nel suo nascere, fa una definitiva parodia di se stessa: tutti i suoi tic, il suo imponente apparato grottesco, le sue goffe manie erotiche, la rampante gelosia letteraria, non hanno mai trovato celebrazione altrettanto precisa e comica. E Lichtenstein stesso è il primo oggetto della propria ironia: larvatamente, egli si presenta nella memorabile figura del gobbo Kuno Kohn, che congiunge ed esalta in sé gli aspetti insieme perversi e risibili, inermi e mostruosi del nuovo letterato.
Maestro dello «humour nero» nelle sue prose – e in questo senso le sue notazioni erotiche sono di squisita ferocia –, Lichtenstein fu anche un notevole poeta, anzi la sua fama, per molti anni, fu legata soprattutto alle sue poesie. In esse la generazione espressionista si riconobbe interamente: oggi testimoniano, come poche altre, di quello squarcio nel tessuto connettivo del linguaggio che l’espressionismo produsse.
Archivi tag: Letteratura tedesca
Oskar Panizza – L’immacolata concezione dei Papi
Nel 1893, due anni prima della pubblicazione del Concilio d’Amore, veniva stampata a Zurìgo, in tedesco, un’opera dal titolo L’Immacolata Concezione dei Papi. Presentata come la traduzione eseguita da Panizza di un saggio teologico di un certo frate Martinus, benedettino, il libro venne sequestrato alla sua uscita e le copie furono distrutte. Panizza, che ne era il vero autore, per questa volta non venne infastidito dalla giustizia bavarese. Questo stupefacente pamphlet, sotto le vesti di un saggio teologico e fondandosi sui testi più eminenti della dottrina cattolica, è uno smontaggio, su toni assurdi, del sistema ideologico che sostiene e puntella ancor oggi il dominio della Chiesa cattolica.
Oskar Panizza – Psychopatia criminalis e Genio e follia
Di Oskar Panizza non intendiamo qui dare un profilo biografico. Ci penseranno altri. Si saprà comunque che, nato nel 1853 nell’allora regno di Baviera, ebbe vita disordinata e segnata dall’impronta materna (strenua lottatrice contro le autorità civili ed ecclesiastiche). Lavorò come psichiatra ma i suoi veri interessi rimasero sempre letterari. Girovagò, cacciato e braccato, per l’Europa; infine si costituì nel 1905. Rinchiuso in manicomio, vi rimase fino alla morte, nel 1921, lasciando una corposa produzione, quasi completamente inedita. Questa Psichopatia criminalis, acre e umorale satira politica pubblicata nel 1898, utilizza certo linguaggio specialistico per mettere in rilievo la funzione politica della psichiatria e, secondo le parole dell’autore, verte “sul fervore persecutorio delle autorità tedesche in difesa della malattia politica che ha contagiato i tedeschi”. In tale denuncia, Panizza segue la tradizione di Lutero, Cranach, Dürer e Von Hutten, ma non certo per lo stile letterario: Panizza scrìve come parla e parla in modo orrendo! (Fu considerato il più osceno e indecente scrittore in lingua tedesca). Nessun poeta tedesco ha maltrattato tanto la propria lingua: massacra grammatica, sintassi e senso e ciò rende quasi impossibile renderne lo stile. Insomma, il rappresentante di una bohème maledetta che è ancora tutta da scoprire.
Oskar Panizza – La fabbrica di uomini
Oskar Panizza – Dal diario di un cane e altri scritti
Heinrich Mann – Il suddito
Martin Walser – Sulla giustificazione. Una tentazione
“Sulla giustificazione” è esplorazione della coscienza e ricerca, avvicinamento a modelli e maestri, per arrivare attraverso “movimenti seduttivi del linguaggio” alle domande decisive della vita, della fede e dello scrivere. O almeno ad intuire ciò che manca.
Peter Weiss – Congedo dai genitori
Questo volume raccoglie i due libri autobiografici in cui Peter Weiss dà conto della tormentata educazione artistica e sentimentale che lo ha visto affermarsi come scrittore, e come interprete sensibile dell’inquietudine contemporanea alle prese — dopo il trauma del nazismo e della guerra – con nuovi dilemmi, con realtà non meno drammatiche. Estraniato all’ambiente naturale, sia perché come ebreo aveva dovuto emigrare dopo il 1933, sia perché aveva rotto con la famiglia borghese, dopo un lungo travaglio Weiss ha trovato nella propria lingua le sue uniche radici, la sua unica patria.
Peter Weiss – Punto di fuga
Questo volume raccoglie i due libri autobiografici in cui Peter Weiss dà conto della tormentata educazione artistica e sentimentale che lo ha visto affermarsi come scrittore, e come interprete sensibile dell’inquietudine contemporanea alle prese — dopo il trauma del nazismo e della guerra – con nuovi dilemmi, con realtà non meno drammatiche. Estraniato all’ambiente naturale, sia perché come ebreo aveva dovuto emigrare dopo il 1933, sia perché aveva rotto con la famiglia borghese, dopo un lungo travaglio Weiss ha trovato nella propria lingua le sue uniche radici, la sua unica patria.
Erich Kästner – Fabian. Storia di un moralista ovvero L’andata a puttana
Noto come autore di libri per bambini (tra cui il famoso Emilio e i detectives) che riflettono un certo ottimismo pedagogico weimariano; rifugiatosi dopo l’avvento del nazismo nella letteratura amena; poeta (prima e dopo) di canzoni da cabaret in cui segue con preoccupazione la rinascita del nazionalismo tedesco e poi la “piccola libertà” del dopoguerra, Erich Kästner è anche l’autore di Fabian, uno dei romanzi più importanti sul disfacimento della repubblica di Weimar e insieme, a detta di molti, il capolavoro letterario della “nuova oggettività”, la tendenza artistica succeduta all’espressionismo che vuole rappresentare il tempo nella sua spettrale realtà senza speranze. Sbalestrato dalla provincia nella Berlino del 1930, Fabian si trova in una società in cui conta solo il denaro, sconvolta dalla crisi mondiale, dominata dalla legge del si salvi chi può. Perde il suo posto di lavoro, e Cornelia, la ragazza che ha appena conosciuto e amato, lo pianta perché trova un protettore che le assicura una rapida carriera nel cinema. Il suo migliore amico, Labude, si suicida. Fabian, nauseato di tutto, ritorna alla città di origine, e qui si butta nel fiume per salvare un bambino che riesce a salvarsi: “Fabian annegò. Purtroppo non sapeva nuotare”. Questa chiusa famosa, oltre a suggellare un’opera tutta scritta in questo stile secco fino al cinismo, assume valore simbolico: la sinistra “malinconica” (Walter Benjamin parlò a proposito di Kästner e dei suoi amici della “Weltbühne” di “malinconia di sinistra”) si accinge a salvare la Germania senza saper nuotare. Di qui l’accusa di passività e di qualunquismo già allora mossa al romanzo e che impedì a lungo che fosse rettamente valutato. Certo Fabian non è “impegnato”; è, come dice il sottotitolo, un moralista, un’ultima incarnazione della contrapposizione tedesca tra natura e società, tra l’eroe integro e il mondo falso. Tuttavia nessuno come Kästner ha descritto così icasticamente l’impotenza di fronte a una catastrofe imminente. Allora, ma potrebbe essere anche oggi. Pubblicato da Bompiani già nel 1933 e non più ristampato, il romanzo riappare ora in una nuova traduzione.