Vladimir Nabokov – Guarda gli arlecchini!

coverCon gli Arlecchini Nabokov in realtà ci consegna uno dei suoi romanzi più divertenti e beffardi lasciando al lettore il compito di classificarlo: un trattato sull’amore nelle sue diverse declinazioni? Un inedito affresco della vita dei russi émigré? Un criptico manuale sulla percezione dello spazio e del tempo? O forse la sublime irrisione di ogni racconto autobiografico?

Vladimir Nabokov – Invito a una decapitazione

coverIl protagonista di questo romanzo, Cincinnatus C., ha un difetto: è «opaco», nel senso che i suoi pensieri e le sue sensazioni non sono trasparenti agli occhi di coloro che lo circondano – perciò produce «una strana impressione, come di un solitario, oscuro ostacolo in quel mondo di anime reciprocamente trasparenti». In quel mondo, che lungi dall’essere un paradiso – come gli ignari sarebbero inclini a pensare – è piuttosto il suo beffardo capovolgimento, l’opacità non è solo un difetto, ma una grave colpa, forse la più grave: è il segno che rivela la «turpitudine gnostica» del singolo. In quel mondo si viene condannati a morte non per ciò che si fa ma per ciò che si è. Quindi Cincinnatus dovrà essere decapitato – e non sa quando. Cincinnatus non ha fatto nulla di turpe, ma certamente è uno gnostico, se non altro perché vede il mondo attorno a sé come l’abborracciata messa in scena di un funesto demiurgo. E la sua percezione è esatta: la cella, con il ragno obeso che condivide la vita del condannato, e tutto ciò che gli appare – il carceriere, il compagno di prigionia, la moglie in visita con codazzo di parenti e l’amante del momento, la madre, la figlia dodicenne del direttore del penitenziario («volatile fanciulla» in cui si riconoscerà un prodromo, carcerario e lancinante, di Lolita): tutto è parodia. Salvo che, in quel mondo, le parodie uccidono. E uccidono mantenendo un’aria «di calda camaraderie» (è la perfezione della tortura). Questo romanzo, che Nabokov scrisse nel 1934 a Berlino distogliendosi dalla stesura del Dono, come se costretto da una mostruosa pressione sulla nuca, è il primo e più chiaroveggente ad avere per oggetto la società totalitaria. Il che, oltre alla sua strepitosa inventiva letteraria, dovrebbe bastare a farne un romanzo per tutti.

Vladimir Nabokov – La difesa di Luzin

coverLa difesa di Lužin (1929), primo capolavoro di Nabokov, è la storia di un conflitto insanabile tra genio e normalità, volontà e predestinazione, ragionevole esistere quotidiano e leggi del Fato, geloso delle prerogative che gli competono. Ed è anche – lo rivela già il titolo, che allude a un’immaginaria mossa inventata dal protagonista – una storia di scacchi. Una storia costruita con sottile, deliberata ironia, come una lunga partita giocata contro la vita, che si dipana lungo l’arco di vent’anni tra una luminosa Pietroburgo imperiale, località termali tedesche e la Berlino degli anni Trenta, con i suoi ricchi emigranti russi.
Al centro del romanzo, la figura del giovane Luzin: inerme di fronte agli altri, consegue attraverso il suo genio per gli scacchi un misterioso, insondabile potere che lo sospinge molto al di là del mondo ordinario. Ma l’ascesa e la caduta di Lužin – da bambino svagato e geniale a campione perdente e suicida – sono anche l’occasione per delineare in controluce, con raffinata sequenza di mosse, tra arrocchi, stalli, prese e abbandoni, una tessitura narrativa in cui dominano l’ironia che investe l’illusorietà delle scelte libere e virtuose, contrastate dal disegno del caso, e l’intuizione di una dimensione futura, al di là dell’umano.

Vladimir Nabokov – Il dono

coverScritto fra il 1935 e il 1937, ultimo romanzo russo di Nabokov, Il dono è forse anche il primo, e certo il più inesauribile, romanzo russo del Novecento. Al suo centro incontriamo l’iniziazione alla letteratura, all’amore, all’età adulta, di un giovane emigrato russo nella Berlino degli anni Venti, figura in cui sin dall’inizio il lettore sarà tentato di riconoscere una trasposizione di Nabokov stesso, mentre alla fine, stupefatto e ammaliato dalla complessità dei rimandi che costellano tutto il romanzo, sarà tentato di riconoscerla ovunque e in nessuna parte – e cioè appunto in quello stesso vertiginoso gioco di rifrazioni. Ma, al tempo stesso, Il dono è il romanzo della letteratura russa, una partitura narrativa dove risuonano, per via di allusioni, deformazioni, ibridazioni, ogni sorta di versi, stilemi, echi di quegli autori che avevano contribuito a comporre la sostanza variegata dello stile nabokoviano; ed è anche la storia della ricerca di un padre, qui il mirabile personaggio dell’esploratore Konstantin Godunov-Cerdyncev, l’uomo che «sapeva due o tre cose che nessun altro sapeva» e socchiudeva gli occhi fissando lo sguardo verso «azzurri paesi». La peculiarità del Dono è dunque innanzitutto quella di comprendere in sé una pluralità di romanzi inscatolati e rispecchiati l’uno nell’altro sino al felice artificio di far sboccare la narrazione sulla scrittura di un libro che è poi il Dono stesso: esempio insuperato di quel libro sul libro e dentro il libro che, come forma di romanzo, avrebbe poi continuato a svilupparsi a tutt’oggi, in quella terra estrema della letteratura dove la parola tenta continuamente di riflettersi in se stessa, quasi applicando alla narrazione quel procedimento che diede origine al teorema di Gödel e continua ad abitare la camera segreta di ogni pensiero.

Vladimir Nabokov – L’occhio

coverQuesto breve romanzo – scritto dapprima in russo nel 1930 e poi in inglese nel 1965 – si fonda su una vertiginosa scommessa: raccontare come, dopo un suicidio, il pensiero umano possa continuare a vivere «per inerzia» e costruirsi un romanzo alternativo alla realtà, con la quale poi finirà per collidere. La scena è quella degli emigrati russi a Berlino, mondo fragile e illusorio, congeniale a una narrazione dove Nabokov scatena tutti i suoi estri in tema di specchi, riflessi, sdoppiamenti – come dire il terreno peculiare su cui si svilupperà la sua arte.

Vladimir Nabokov – Lolita

agosto 2012Sarebbe difficile, per chi non ne è stato testimone, immaginare oggi la violenza dello scandalo internazionale, per oltraggiata pruderie, che Lolita provocò al suo apparire nel 1955. E tale è l’abitudine alla sciocca regola secondo cui ciò che fa chiasso è inevitabilmente sprovvisto di una durevole qualità letteraria, tanta era allora l’ignoranza dell’opera di Nabokov che solo pochi capirono quel che oggi è un’evidenza dinanzi agli occhi di tutti: Lolita è non solo un meraviglioso romanzo, ma uno dei grandi testi della passione che attraversano la nostra storia, dalla leggenda di Tristano e Isotta alla Certosa di Parma, dalle canzoni trobadoriche ad Anna Karenina. Ma chi è Lolita? Questa «ninfetta» (geniale invenzione linguistica di Nabokov, poi degradata nell’uso triviale, quasi per vendetta contro la sua bellezza) è la più abbagliante apparizione moderna della Ninfa, uno di quegli esseri quasi immortali che furono i primi ad attirare il desiderio degli Olimpi verso la terra e a invadere la loro mente con la possessione erotica. Perché chiunque sia «catturato dalle Ninfe», secondo i Greci, è travolto da una sottile forma di delirio, lo stesso che coglie l’indimenticabile professor Humbert Humbert per la piccola, intensamente americana Lolita. America, Lolita: questi due nomi sono di fatto i protagonisti del romanzo, scrutati senza tregua dall’occhio inappagabile di Humbert Humbert e di Nabokov. Realtà geografica e personaggio sono arrivati a sovrapporsi con prodigiosa precisione, al punto che si può dire: l’America è Lolita, Lolita è l’America. E tutto questo, come solo avviene nei più grandi romanzi, non è mai dichiarato: lo scopriamo passo per passo, si potrebbe dire miglio per miglio, lungo un nastro senza fine di strade americane punteggiate di motel.

Vladimir Nabokov – L’incantatore

coverStoria di una passione che si tinge di follia, L’Incantatore può essere considerato, come Nabokov stesso ha scritto, il «primo, piccolo palpito» di Lolita. Qui lo sfondo su cui si muovono i tre personaggi – un quarantenne vizioso, un’innocente ragazzina di dodici anni e la sua patetica madre malata – è la Francia di fine anni Trenta, da Parigi alla Costa Azzurra, meta finale dell’affannoso viaggio del protagonista con la sua piccola vittima. Protagonista che appare, attraverso il prisma dell’ironia nabokoviana, sotto luci contrastanti: da un lato essere perverso che osa l’impossibile per soddisfare i suoi fantasmi, dall’altro uomo che nei rari momenti di lucidità vuole fuggire da se stesso e, terrorizzato, cerca di riscattarsi. Nabokov tratta questo groviglio con stupefacente maestria stilistica, alternando i registri più discordanti: all’asciutta cronaca dei fatti accosta incursioni in zone allucinatorie, alla dissezione psicologica si mescolano distorsioni visive e percettive che trasmettono al lettore i turbamenti e le oscillazioni psichiche del protagonista. Ma a scandire il ritmo del romanzo sono soprattutto l’incalzare della suspense e il beffardo gioco degli imprevisti disseminati dal destino sul percorso tortuoso di chi, intento a ordire la sua trama, corre verso la rovina.

Vladimir Nabokov – Ada o ardore

coverDopo aver raggiunto le vette dello scandalo e della gloria, dopo aver pubblicato capolavori come Il dono, Lolita o Fuoco pallido, Nabokov decise di scrivere un romanzo dove avrebbe sfrenato i suoi estri e i suoi capricci più nascosti e più cari, sfidando il lettore a seguirlo, come un seduttore irresistibile e sottilmente perverso. E fu Ada. Sarebbe stata una storia d’amore, di quell’amore «normale e misterioso» che è come la rosa vera mescolata alle altre in un negozio di fiori finti, «pour attraper le client». E anche una storia erotica. E, dietro a tutto, sarebbe stata una celebrazione del dettaglio. «Il dettaglio è sempre benvenuto» diceva Nabokov. Dettaglio è «l’evento senza precedenti e irripetibile» che si staglia fra miliardi di simili – e con ciò in fondo obbliga la letteratura a esistere, se non altro per replicargli con un tessuto di parole che dell’irripetibile mostri qualche filo. Ogni lettore, non appena comincerà ad addentrarsi in Ada, avrà l’impressione di trovarsi davanti a uno di quei libri in cui l’autore ha inteso mettere tutto, come in una vasta arca, grande quanto un leggendario maniero familiare o per lo meno la sua sterminata e veleggiante soffitta. E in quella soffitta costellata di segreti, come nel parco di quel maniero, cosparso di nascondigli erotici, sarà felice di perdersi.

Vladimir Nabokov – Parla, ricordo

coverCon la «singolare nitidezza» di qualcosa che si vede dall’altro capo di un telescopio, minuscolo ma provvisto dello smalto allucinatorio di una decalcomania, Nabokov ha lasciato affiorare dalle pagine di questo libro la sua fanciullezza nella «Russia leggendaria» precedente alla rivoluzione, troppo perfetta e troppo felice per non essere condannata a un dileguamento istantaneo e totale, sospingendo poi il ricordo fino all’apparizione dello «splendido fumaiolo» della nave che lo avrebbe condotto in America nel 1940. «Il dettaglio è sempre benvenuto»: questa regola aurea dell’arte di Nabokov forse mai fu applicata da lui stesso con altrettanta determinazione come in Parla, ricordo. Qui l’ebbrezza dei dettagli che scintillano in una prosa furiosamente cesellata diventa il mezzo più sicuro, se non l’unico, per salvare una moltitudine di istanti e di profili altrimenti destinati a essere inghiottiti nel silenzio, fissandoli in parole che si offrono come «miniature traslucide, tascabili paesi delle meraviglie, piccoli mondi perfetti di smorzate sfumature luminescenti». Compiuta l’operazione da stagionato prestigiatore itinerante, Nabokov riarrotola il suo «tappeto magico, così da sovrapporre l’una all’altra parti diverse del disegno». E aggiunge: «E che i visitatori inciampino pure». Cosa che ogni lettore farà, con «un fremito di gratitudine rivolto a chi di dovere – al genio contrappuntistico del destino umano o ai teneri spettri che assecondano un fortunato mortale».

Vladimir Nabokov – Una bellezza russa e altri racconti

coverNabokov non fu solo l’autore di romanzi fra i supremi del Novecento, dal Dono a Lolita, ma anche un magistrale creatore di racconti. Di tale versante della sua attività, ancora in gran parte da scoprire, questa vasta silloge, che integra quella della Veneziana, offre un panorama completo, giacché raduna in una sequenza rigorosamente cronologica i testi che Nabokov scrisse a partire dal 1921 e pubblicò poi in quattro celebri raccolte uscite tra il 1958 e il 1976. Con una sorta di bacchetta divinatoria e le infinite variazioni della sua arte caleidoscopica, Nabokov ci guida alla scoperta degli aspetti più elusivi di ciò che abitualmente chiamiamo realtà. Sono favole briose, storie agrodolci di perdita, sconfitta o solitudine, claustrofobici esercizi di orrore, campionature dell’umana follia che si proiettano sullo sfondo di paesaggi urbani colti nella loro «sensazione dinamica» o di fenomeni naturali intesi come epifanie del divino, mentre affiorano continuamente gli echi della giovinezza in Russia, degli anni universitari in Inghilterra, del periodo émigré in Germania e Francia, e infine del soggiorno in quell’America che – come egli stesso ebbe a dire – andava via via inventando, dopo aver inventato l’Europa.