La vita di Immanuel Kant, scrive De Quincey, «fu notevole non tanto per i suoi avvenimenti quanto per la purezza e la dignità filosofica del suo tenore quotidiano». Era un ordine perfetto e infantile, dove ogni minuzia della giornata veniva osservata con lo stesso rigore, con lo stesso scrupolo di trasparenza che il grande filosofo dedicò ai problemi epistemologici. Nel corpo minuto di Kant, nelle sue maniere austere e amabili vivevano i Lumi, giunti al grado più nobile e penetrante del loro fulgore, come in un delicato involucro. E un giorno quel perfetto ordine avvertì i primi segni del declino. Da allora, ingaggiò una lunga, testarda lotta contro le forze della disgregazione. Thomas de Quincey, collazionando le varie testimonianze di amici sull’ultimo periodo della vita di Kant, e utilizzando soprattutto quella, insieme modesta e rapace, di Wasianski, ne ha tratto una narrazione che corrisponde agli antichi tratti del «sublime». Dinanzi al progressivo decadere di quella vita mirabilmente costruita, dinanzi alla raccapricciante comicità di certe scene e allo strazio immedicabile di altre, viene naturale dire di questo testo, in cui convivono, come rare volte accade, la più acuminata modernità e un purissimo pathos: chi ha lagrime per piangere pianga.
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Domenico Losurdo – Autocensura e compromesso nel pensiero politico di Kant
Considerato da non pochi dei suoi contemporanei come un “democratico radicale “, Kant è stato in seguito stilizzato da una radicata e composita tradizione interpretativa a teorico dell’obbedienza all’autorità costituita, e questo a causa della sua negazione del diritto di resistenza. Punto di partenza della presente ricerca è proprio tale negazione: essa, mentre rassicurava le corti tedesche, al tempo stesso permetteva di affermare l’irreversibilità della Rivoluzione francese. Emerge qui con chiarezza la ricercata “ambiguità “, la ” doppiezza” di Kant, costretto ad un logorante esercizio di autocensura, ad una continua dissimulazione, tormentosa anche sul piano morale, per sfuggire al controllo delle autorità di censura e del potere politico. In questo quadro si procede ad una rilettura del pensiero politico di Kant; che, se è sufficientemente noto il difficile rapporto del filosofo con la censura, non sembra sia stata finora indagata la connessione tra “persecuzione e arte dello scrivere”; ma forse è solo questa indagine che può permetterci di sbarazzarci dell’oleografia tradizionale, per collocare Kant in una luce nuova, più umanamente drammatica e inquietante.