Quando nel 1927 Martin Heidegger pubblicò Essere e tempo, si ebbe subito la sensazione che un nuovo astro fosse sorto nel firmamento della filosofia. Da anni le sue lezioni – di cui Essere e tempo è il distillato – avevano richiamato intorno a quel giovane «sciamano del pensiero» un folto gruppo di allievi e ascoltatori. Ma con l’apparizione del capolavoro fu chiaro a tutti che Heidegger emanava davvero un’aura magica: era un pensatore capace di fare filosofia in grande stile. Adottando una terminologia nuova, a tratti ostica e cruda, con cui cercava di superare la crisi del linguaggio filosofico tradizionale, Heidegger riprende e radicalizza l’antico problema di Platone e Aristotele: il problema dell’essere. Ma nella sua palpitante interrogazione tale questione è riproposta in modo tutt’altro che erudito o astratto, riflettendosi in essa le inquietudini di un intero secolo: il venir meno del sentimento religioso, il tramonto della metafisica e la crisi delle ideologie, la fine dell’assoluto e il diffondersi del nichilismo, lo stridente contrasto tra una macchina moderna sempre più complessa e un uomo sempre più elementare. Essere e tempo ha così ispirato importanti correnti della filosofia, della teologia, della psichiatria del Novecento. E il continuo susseguirsi di nuove letture – che lo interpretano via via come bibbia dell’esistenzialismo, decostruzione dell’ontologia, parabola gnostica o versione moderna della filosofia pratica – non fa che confermarne l’incontestabile centralità e attualità, alimentando ulteriori interrogativi. Perché quest’opera rimase incompiuta? Qual è il segreto del suo inesauribile fascino? Che significato ha la «svolta» fra il primo e il secondo Heidegger? C’è continuità o rottura fra lo Heidegger «ermeneuta dell’esistenza» e quello che si proclama «pastore dell’essere»? Le risposte vanno cercate in questo libro, al quale sempre si è tornati e sempre si tornerà.
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Reiner Schürmann – Dai principî all’anarchia. Essere e agire in Heidegger
Apparso per la prima volta in Francia nel 1982, riscritto e ampliato nell’edizione inglese del 1987 che qui presentiamo, questo libro di Reiner Schürmann è una limpida, originale e sistematica al tempo stesso, interpretazione del pensiero di Heidegger, alla ricerca di una risposta alla domanda: Che fare alla fine della metafisica? Ponendo al centro della sua indagine il rapporto fra teoria e pratica nell’epoca in cui la razionalità metafisica ha esaurito la sua storia, l’autore analizza ciò che accade quando il «pensiero» non garantisce più un fondamento razionale alla conoscenza e, per converso, l’«agire» non può più adattare le proprie condotte – pubbliche e private – a un tale fondamento. Sulla scorta dei testi heideggeriani, Schürmann mostra come la tecnologia moderna conduca a termine una storia cominciata con gli antichi Greci. Se la nostra è, dunque, l’epoca in cui tramontano i principi, si tratta di prepararsi ad un futuro nel quale non si potrà più fare appello al pensiero per legittimare la prassi commisurandola a qualche principio o a qualche «arche»: il pensare e l’agire diventeranno letteralmente «an-archici».
Hans Georg Gadamer – I sentieri di Heidegger
Heidegger ha voluto che la raccolta completa dei suoi scritti recasse il motto: «Sentieri, non opere». L’essere in cammino lungo piste che conducono nel fitto del bosco, ma che ad ogni svolta possono immettere nella radura, nella Lichtung dove nuova e inattesa luce si fa incontro a chi si è avventurato lungo il difficile percorso: è questa la metafora che Heidegger ha privilegiato per esprimere il senso del suo pensare.
Gadamer, che ha seguito fin dagli anni marburghesi il Denkweg, il rigoroso e radicale itinerario di pensiero del suo grande maestro, ritorna in questo libro a ripercorrerne le tappe principali. Ma può ritornarvi in modo fruttuoso e illuminante solo perché ha saputo seguire fino in fondo il compito del proprio autonomo pensiero. Intende così i «sentieri» del maestro come «cenni», come «segnali» che indicano una direzione solo per colui che sa rischiare di persona.
Gadamer interpreta Heidegger alla luce del proprio sviluppo ermeneutico della fenomenologia ontologica, offrendo una lettura unitaria, pur nella varietà degli spunti e delle occasioni. Nei diversi momenti vengono riconosciute le tappe di un cammino rivolto verso un’unica meta: pensare l’essere, aprirsi all’orizzonte originario dove la verità dell’essere non è occultata da fraintendimenti oggettivanti, ma appare come evento e linguaggio.
Jacques Derrida – Dello spirito. Heidegger e la questione
“Parlerò dello spettro, della fiamma e delle ceneri. E di ciò che evitare significa per Heidegger”. Sono le prime parole del libro: ora, lo “spettro” (che in francese suona “revenant”, ovvero “spirito”, anima di un morto che si suppone ritorni dall’altro mondo) è proprio lo spirito, e Derrida mostra come questa parola, evitata in Essere e tempo, ritorni nel pensiero del filosofo tedesco a un preciso punto del suo cammino, nel 1933, anno della celebre prolusione accademica intitolata L’autoaffermazione dell’università tedesca. Che cosa vuol dire la parola “spirito” nell’opera di Heidegger? E che cosa significano le sue dichiarazioni sulla “crisi dello spirito” e sulla “libertà dello spirito”? Per rispondere, Derrida ripercorre il sentiero seguito dal filosofo tedesco a partire da Essere e tempo e fino al testo dedicato alla poesia di Trakl, con una analisi ricca di riferimenti alle letture di Hòlderlin, Schelling e Nietzsche. “Dello spirito” è il resoconto del tormentato dialogo di Derrida con Heidegger; dialogo impietoso e a tratti aporetico, ma decisivo.
Franco Volpi – La selvaggia chiarezza. Scritti su Heidegger
La migliore guida per la comprensione del pensiero di Heidegger. Tra i filosofi del Novecento, Martin Heidegger è quello che più di ogni altro ha spinto il pensiero oltre i canoni acquisiti del rapporto tra soggetto e oggetto, verità ed esperienza. Ne ha esplorato il limite, oltre il quale occorreva un linguaggio nuovo: una parola rivelatrice che liberasse la filosofia dalla cappa metafisica che aveva pesato su tutta la sua storia. In tale contesto, tanto esaltante quanto arduo, si è svolta la preziosa attività di Franco Volpi non solo come studioso e acuto interprete di Heidegger, ma anche come suo magistrale traduttore. Nulla come una traduzione, infatti, consente di penetrare in profondità nei gangli di un pensiero, e chi voglia oggi smontare, e comprendere dall’interno, la complicata macchina speculativa del «mago di Messkirch» troverà dunque qui il miglior viatico. La padronanza del lessico, sfrondato da ogni compiacenza gergale, la competenza con cui Volpi chiarisce le numerose oscurità del filosofo fanno di questo libro un esempio di lettura ermeneutica, un lucido percorso nei labirinti di Heidegger. Un percorso capace di svelare la segreta relazione tra il secolo che si è chiuso e il suo più imbarazzante testimone: che incarna il destino stesso della nostra epoca, e della sua pensabilità.
Franco Volpi – Heidegger e Aristotele
Nella lunga crisi della grande filosofia seguita alla fine del sistema hegeliano, Heidegger ci ha restituito il senso di che cosa significhi pensare in grande stile. Questo non solo per la grandezza e lo spessore della sua opera, che sta venendo ora alla luce in tutta la sua imponenza. Non solo per l’acuta sensibilità che – nonostante tutte le apparenze – Heidegger ha mostrato nei confronti dei problemi fondamentali della nostra epoca: il venir meno della coscienza religiosa, la crisi dei valori tradizionali e la sfiducia nei confronti di una ragione meramente strumentale, la fine dell’assoluto sulla terra e il chiudersi dell’orizzonte epocale della tecnica. Ma anche e soprattutto per il fatto che, con una radicalità che nessun altro dopo Hegel aveva osato, Heidegger ha saputo ripensare nel suo insieme l’accadere della filosofia occidentale, riproponendo come problema filosofico la questione dei fondamenti dell’epoca presente e della sua connessione essenziale con il pensiero greco. In quest’orizzonte, la presenza di Aristotele nel pensiero heideggeriano non è circoscrivibile nelle forme di una semplice interpretazione. Essa è piuttosto una presenza generalizzata che pervade tutta l’opera di Heidegger e che si configura nei termini di una assimilazione rapace e di un confronto mirante a una appropriazione radicale dell’ontologia e della filosofia pratica di Aristotele.
Franco Volpi & Antonio Gnoli – I filosofi e la vita
Difficilmente si capirebbe il XX secolo senza l’apporto di quelle potenti macchine del pensiero che alcuni filosofi — e tra questi Heidegger, Jünger, Husserl e Schmitt — hanno costruito. Talvolta urtanti, altre ancora segnate da una oscurità misteriosa, quelle costruzioni hanno dissolto l’umanesimo, spingendo la crisi fin dentro la natura del soggetto. La domanda non è più quale posto l’uomo occupa nell’universo, ma in quali luoghi egli può ancora ambire a tenere insieme pensiero e azione. Seguendo un lungo tratto del Novecento — attraverso storie, vicende e protagonisti — si è voluto dare voce all’ambigua connessione che i filosofi hanno intrecciato con la vita. Anche con la propria. Mostrandone le scelte, talvolta rischiose e condannabili, e il pensiero che le ha precedute. Ne è venuto fuori un regesto che anticipa gli attuali drammi che la scienza e l’etica, la religione e la politica, la verità e la finzione hanno in questi anni messo in campo.
Gianni Vattimo – Essere, storia e linguaggio in Heidegger
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Karl Jaspers – Nietzsche. Introduzione alla comprensione del suo filosofare
Jaspers affronta in quest’opera i “pensieri fondamentali” di Nietzsche (superuomo, eterno ritorno, volontà di potenza); i nodi problematici del rapporto negazione-affermazione, immanenza-trascendenza, ateismo-ricerca di Dio; e, in via preliminare, alcuni aspetti metodologico-interpretativi, a cominciare dal rapporto aforisma-sistema. Al centro dell’interpretazione jaspersiana – in antitesi a quella heideggeriana – vi è l’idea dell’indissolubile legame di pensiero e vita: bisogna partecipare intimamente al continuo “movimento” del pensiero nietzschiano nel suo concreto farsi, alla sua filosofia sperimentale, che è ad un tempo “pensata e vissuta”. Solo così si può pervenire a una vera e propria “assimilazione” di Nietzsche, cioè a un’autentica comprensione del suo filosofare, che implica al tempo stesso una sua appropriazione e rielaborazione personale. In tal senso Jaspers getta luce non solo sulla filosofia di Nietzsche, ma anche sulle idee centrali della propria filosofia: quelle di “situazioni-limite”, di “origine”, di “trascendenza”.
Georges Bataille – Su Nietzsche
L’aspirazione estrema, incondizionata, dell’uomo è stata espressa per la prima volta da Nietzsche a prescindere da un fine morale e dal servizio di un Dio. Nietzsche non può definirla con precisione ma essa lo anima, egli la assume sotto tutti gli aspetti. Ardere senza rispondere a qualche imperativo morale, espresso drammaticamente, è certo un paradosso. È impossibile predicare o agire partendo da queste premesse. Ne deriva un risultato sconcertante. Se di uno stato d’ardore noi non facciamo più la condizione di un altro, successivo e dato come bene attingibile, lo stato proposto sembra una pura folgorazione, uno struggimento vuoto. […] Nietzsche non ebbe chiara coscienza di questa difficoltà. Dovette constatare il suo fallimento: seppe alla fine che aveva parlato al deserto. Eliminando l’obbligo, il bene, denunciando il vuoto e la falsità della morale, distruggeva il valore d’efficacia del linguaggio. La fama tardò e poi, quando venne, egli non potè più far nulla. Nessuno rispondeva alla sua attesa. Oggi credo di dover dire: quelli che lo leggono e lo ammirano, lo scherniscono, ed egli lo seppe, lo disse. Escluso me? (semplifico). Ma tentare di seguirlo come lui chiedeva significa abbandonarsi alla stessa prova, allo stesso suo smarrimento.” (Dallo scritto di Maurice Blanchot)