Ludwig Wittgenstein – Lezioni e conversazioni

Lezioni e conversazioni

Nei testi raccolti in questo volume, tutti appartenenti al periodo compreso fra la pubblicazione del “Tractatus” (1921) e la composizione delle “Philosophische Untersuchungen” (1941-1949), Wittgenstein tratta alcuni temi fondamentali della ricerca filosofica: la natura del «bello» e delle proposizioni di fede, l’interpretazione psicologica, soprattutto in riferimento a Freud, e i fondamenti dell’etica, temi cioè che, pur presenti nell’unica opera da lui pubblicata e negli scritti postumi finora editi, non vi hanno né rilievo né trattazione particolare. Questi scritti, quindi, sia nella forma definitiva data da Wittgenstein stesso, come nella “Conferenza sull’etica”, sia nella forma di appunti, presi da Friedrich Waismann durante e dopo conversazioni con Wittgenstein e Moritz Schlick, e da allievi durante lezioni tenute a Cambridge nel 1938, costituiscono un’aggiunta e un chiarimento indispensabili alla comprensione di una personalità filosofica così singolare e determinante per la nostra cultura. In particolare gli appunti, proprio per la forma diretta della conversazione filosofica, conservata nella trascrizione non elaborata dagli allievi, suggeriscono il modo di procedere della sua intelligenza creativa e il rigore non soltanto intellettuale della ricerca, poiché, come dice Erich Heller: «Per Wittgenstein, la filosofia non era una professione; era una passione divorante; e non solamente una passione, ma la sola forma possibile della sua esistenza: pensare di poter perdere la propria capacità di filosofare era per lui esattamente come pensare al suicidio».

Ludwig Wittgenstein – Lezioni 1930-1932

Lezioni 1930-1932

Dopo la lunga interruzione seguita al “Tractatus”, Wittgenstein, passato attraverso le fondamentali esperienze della prima guerra mondiale e del periodo trascorso come maestro elementare nei villaggi della Bassa Austria («Come posso essere un logico se non sono ancora un uomo!» aveva scritto a Bertrand Russell), tornò nel 1929 in Inghilterra e nel gennaio dell’anno successivo iniziò i suoi corsi al Trinity College di Cambridge. Nell’ambito di queste lezioni, che segnano la ripresa della ricerca filosofica e scientifica, Wittgenstein avviò la profonda rielaborazione critica del “Tractatus” che lo porterà ad abbandonare la concezione del linguaggio come insieme di raffigurazioni indipendenti dei fatti e a sostituirla con quella di un sistema di simboli e di espressioni governati da relazioni interne e disciplinati da regole d’uso: «Il linguaggio è un calcolo,» dice Wittgenstein «pensare è giocare un gioco, usare il calcolo». Il linguaggio è dunque assimilato a un algoritmo, e le nozioni di uso, regola e relazione interna vengono ad assumere un ruolo cruciale: fra l’inerte letteralità di un’espressione linguistica e il suo significato vi è un salto, prodotto dall’intenzione, dal gesto preverbale – a sua volta inesprimibile –, che ne dirige l’uso. I testi delle lezioni di Cambridge, che qui pubblichiamo sulla base degli appunti di John King e Desmond Lee, ci offrono la rara opportunità di assistere al primo articolarsi di alcuni passaggi decisivi nel pensiero dell’ultimo Wittgenstein, e di osservare lo schiudersi di quella prospettiva in fondo alla quale troveremo le “Ricerche filosofiche”.

Ludwig Wittgenstein – Osservazioni sulla filosofia della psicologia

Osservazioni sulla filosofia della psicologia

Wittgenstein concluse la prima parte delle “Ricerche filosofiche” nel 1945. A partire dal 1946, si concentrò sui temi della filosofia della psicologia, accumulando le osservazioni che compongono questo volume, apparso nel 1980. Esse vanno lette, per un verso, in parallelo con la seconda parte delle “Ricerche”, dove alcune di queste note andarono a confluire. Ma, per altro verso, esse valgono come indicazione delle nuove vie cercate da Wittgenstein negli ultimi anni, anche al di là delle “Ricerche”. In piena evidenza apparirà in questi scritti una certa impronta antropologica, se con essa intendiamo la convinzione che i problemi della teoria della conoscenza – a cui Wittgenstein aveva dedicato tutta la sua vita – non possano essere affrontati senza considerare quei «binari fissi su cui corre tutto il nostro pensiero». È questo il Wittgenstein paziente, minuzioso, acutissimo, che non parla soltanto di logica ma dei nostri sentimenti elementari – dal dolore alla sorpresa – e del modo in cui li esprimiamo correntemente, non stancandosi mai di individuarvi cose che rimangono da capire. Il presupposto di questo Wittgenstein estremo, per noi oggi particolarmente affascinante, è che «la malattia del pensiero deve seguire il suo corso naturale» – e di fronte a essa il filosofo deve contare soltanto su una «lenta guarigione».

Ludwig Wittgenstein – Libro blu e Libro marrone

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I due testi di cui si compone questo volume sono tra le opere più rilevanti di Wittgenstein. Wittgenstein dettò il Libro blu ai suoi alunni a Cambridge, nel corso del 1933-1934, e ne fece ciclostilare delle copie. Dettò il Libro marrone ai suoi discepoli nel 1934-1935. Ne fece dattiloscrivere tre copie, che mostrò solo ad amici e discepoli. Se Wittgenstein avesse dato un nome a ciò che aveva dettato, lo avrebbe probabilmente chiamato Osservazioni filosofiche. Ma la prima parte aveva una copertina blu; la seconda, una copertina marrone; di qui i nomi di Blue Book e Brown Book. Questa edizione (che presenta, oltre al testo inglese dei quadreni, integrazioni e appunti della versione tedesca) consente di seguire l’attività di Wittgenstein docente e di avvicinarsi al suo pensiero in maniera più diretta. Delle Ricerche filosofiche questi due testi sono al contempo la premessa e l’abbozzo iniziale, e facilitano una più ricca percezione del “sistema” del secondo Wittgenstein.

Ludwig Wittgenstein – Zettel. Lo spazio segregato della psicologia

Zettel

Questi Zettel (foglietti) raccolgono osservazioni in gran parte ritagliate da altri scritti (secondo un procedimento abituale di Wittgenstein) e ordinati dallo stesso autore. I lavori da cui sono tratti coprono praticamente tutto l’arco della produzione che segue il Tractatus e c’è da chiedersi se Wittgenstein non intendesse utilizzarli – dopo i manoscritti composti nella seconda metà degli anni ’40 e pubblicati nel 1981 col titolo Bemerkungen über die Grundlagen der Psychologie – come traccia di quella «ricerca sui fondamenti della matematica» preannunciata nel capitolo finale delle Ricerche filosofiche. Gli Zettel riprendono, quasi unificandoli, i temi di fondo del pensiero di Wittgenstein, primo fra tutti quello della neutralizzazione della psicologia. Qui però tale neutralizzazione, che tende a recuperare una nozione di esperienza libera da ogni riferimento agli stati interni, ha per scopo la ricerca di un punto d’incontro fra grammatica della matematica e grammatica dell’esperienza in cui si rintracciano i tratti essenziali di quella «grammatica profonda del linguaggio», che Wittgenstein non cessò mai di cercare e la cui nozione, debitamente adattata, è uno dei tanti motivi di continuità fra il Tractatus e il dopo Tractatus. Mettendo in problema la legittimità storica e teorica della netta contrapposizione tra «primo» e «secondo» Wittgenstein, il saggio introduttivo di Mario Trinchero propone alcuni modelli interpretativi sia del Tractatus sia della produzione successiva, che consentono di mettere in evidenza la sostanziale continuità del pensiero wittgensteiniano e il significato di questo libro.

Ludwig Wittgenstein – Della Certezza

Della certezza

Della Certezza è uno dei testi piu compatti e significativi dell’ultimo Wittgenstein. Secondo la metodologia di una ricerca che analizza i problemi filosofici, scientifici e logici nei termini delle forme di vita umana e dei «giuochi linguistici», che sono espressione del modo in cui gli uomini pensano, giudicano e calcolano, Wittgenstein affronta in questo scritto il tema del «senso comune». Anziché un repertorio di certezze cognitive, Wittgenstein ha scoperto nelle proposizioni del senso comune il sistema delle convenzioni, delle regole e dei codici linguistico-concettuali secondo i quali gli uomini ordinano la loro esperienza e trattano con le situazioni che li circondano. Gli oggetti del senso comune, come mani, tavoli, alberi, corpi celesti, cessano di costituire i termini di presunte proposizioni conoscitive, per risultare, invece, gli strumenti grammaticali dai quali è disciplinata la nostra condotta intellettuale. Come mette in evidenza Aldo Gargani nel saggio introduttivo, in luogo dello statuto di certezza attribuito al senso comune da una lunga tradizione che giunge fino all’apologia tracciata da G. E. Moore all’inizio di questo secolo, Wittgenstein ha individuato nel senso comune un codice per i comportamenti umani che non ha presupposti o legittimazioni razionali, ma che esprime «il modo di operare infondato» che appartiene all’elemento della nostra vita. Imprimendo una svolta radicale alla questione, Wittgenstein ha sottratto le credenze del senso comune alle controversie intellettualistiche, riproponendole come lo sfondo ereditato di una comunità sociale, tenuta insieme dal linguaggio e dall’istruzione, nella quale il senso comune non è oggetto di dubbi o di certezze, ma definisce il luogo in cui si pongono dubbi e in cui si distingue tra il vero e il falso.

Ludwig Wittgenstein – Osservazioni sui colori

Osservazioni sui colori

Attraverso queste Osservazioni sui colori il filosofo viennese costruisce una vera e propria grammatica del vedere. D’altra parte il tema del colore è una costante nella riflessione di Wittgenstein: riferimenti, riflessioni ed esemplificazioni sul tema ricorrono infatti diffusamente nei suoi scritti e già nel Tractatus logico-phitosophicus. Considerando la varietà di questi riferimenti, si può cosí dire che ciò costituisce una sorta di laboratorio intellettuale nel quale vengono analizzati i rapporti tra logica ed esperienza.

Sergio Solmi – Meditazioni sullo scorpione

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“Queste prose di varia materia e ispirazione, scritte dal 1925 a oggi e che hanno, stando all’avvertenza dell’autore, come filo unitario il loro carattere ambiguo, ‘oscillante tra l’asciuttezza dell’aforisma e il pieno abbandono del colore’, sono senza dubbio, per nitore formale e magia delle illuminazioni che le sorreggono, tra le pagine più belle donate in questi ultimi anni alla nostra letteratura. Bisogna pensare, come modelli, a certe prose di Valéry e di Alain … bisogna, inoltre, riferirsi a certe ‘variazioni’ di Borges per cogliere un esempio simmetrico di trasparenza linguistica e di calcolate distillazioni di contenuti fantastici e morali” (Domenico Porzio).

Robert Musil – Sulle teorie di Mach

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Il testo che qui si presenta, spesso citato dai critici di Musil ma totalmente ignorato dal pubblico, anche nel mondo tedesco, è la tesi di dottorato che lo scrittore ventottenne discusse all’Università di Berlino nel marzo del 1908. Si tratta di uno studio dedicato all’esposizione e alla critica dell’attacco che Mach aveva mosso ai fondamenti della conoscenza scientifica. Musil aveva già pubblicato lo splendido Törless, dove problemi gnoseologici e scientifici sono in certo modo alla radice della sconvolgente narrazione, e la tesi su Mach, scritta due anni dopo, rappresenterà per lui quasi un bilancio di quegli studi scientifici che presto egli avrebbe abbandonato, inglobandone però i motivi nella immensa costruzione dell’Uomo senza qualità. Di fatto, chi conosce l’opera letteraria di Musil capirà facilmente come egli fosse affascinato dallo «scetticismo incorruttibile» di Mach (come lo definisce Einstein), che aveva messo in crisi tutte le sicurezze del positivismo più ortodosso. L’importanza della posizione di Mach fu riconosciuta anche da Lenin, che lo avrebbe attaccato frontalmente, proprio un anno dopo, nella sua più importante opera filosofica, Materialismo ed empiriocriticismo. Musil invece, se sottopone l’opera di Mach a una critica ‘immanente’, che ne individua le aporie e le insufficienze, non riesce tuttavia a nascondere la sua ammirazione per questo filosofo che aveva trovato nuove ragioni di dubbio radicale là dove tanti suoi contemporanei si abbandonavano alle più facili velleità di certezza. Si può dire così che l’insegnamento negativo di Mach si ritroverà in tutta l’opera successiva di Musil – e innanzitutto in quel «voto di sfiducia contro la realtà nella quale viviamo» che è stato una fra le ragioni della sua grandezza.

Ernesto Laclau – Emancipazione/i

Emancipazione/i

Cosa rimane del concetto di emancipazione così com’è stato formulato sin dall’Illuminismo in seguito ai cambiamenti negli assetti mondiali avvenuti alla fine del XX secolo? Ernesto Laclau risponde a questa domanda con una penetrante analisi sul tramonto delle ideologie totalizzanti, e sulle opportunità aperte dalla conseguente esperienza del decentramento. Eppure tramonto non significa rottura con il passato, bensì apertura a una sfida, quella di rimodulare le classiche categorie della teoria politica moderna, come quella, appunto, di “emancipazione”. L’originale riflessione di Laclau sui “significanti vuoti” e sull’articolazione tra le classiche coppie concettuali “contingenza/necessità”, “universalismo/particolarismo”, ci prospetta nuove possibilità nel pensiero e nella prassi politica, come quella del progetto di una “democrazia radicale”. Venire a patti con la nostra finitudine è la parola d’ordine della post-modernità, il segno dei nostri tempi è la fine del sogno di una società totalmente riconciliata con se stessa: ma questo, lungi dal rappresentare una prospettiva paralizzante, crea per la prima volta la possibilità di una concezione radicalmente politica della società.