Il fascismo volle proporsi come ‘terza via’ alternativa al capitalismo e al socialismo, come esperimento rivoluzionario fondatore di uno ‘Stato nuovo’ e di un diverso sistema sociale. Della terza via fascista il corporativismo fu uno degli aspetti principali e maggiormente appariscenti. Oggetto di accesi dibattiti e della costante attenzione delle gerarchie del fascismo, l’attuazione delle corporazioni fu però tardiva e per nulla commisurata alle aspettative. Nonostante la notevole sproporzione tra le parole e i fatti, l’azione del sistema corporativo non fu però senza esito, perché accompagnò e favorì trasformazioni profonde nell’organizzazione delle classi e dei ceti e nel rapporto tra la società e lo Stato.
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Ernesto Rossi – Padroni del vapore e fascismo
I rapporti fra potere economico e potere politico nell’avvento e nel consolidamento del fascismo; il processo attraverso cui i «padroni del vapore» — cioè i più potenti rappresentanti dell’oligarchia industriale e finanziaria italiana — delegarono a un sistema politico totalitario il compito di difendere e promuovere i propri interessi di classe; le gravissime deformazioni impresse all’organismo economico nazionale dalla ventennale alleanza fra classe politica fascista e Confindustria: questi — che la storiografia più recente ha riconosciuto come i problemi centrali della storia d’Italia fra le due guerre — sono i temi dominanti del volume di Ernesto Rossi, che, dopo cinque edizioni, viene ora ripresentato in forma ampiamente riveduta e aggiornata.
Dagli scandali bancari all’istituzione di un rigoroso regime protezionistico all’ombra della mitologia autarchica; dall’imposizione di bassi salari alla politica fiscale e creditizia favorevole agli alti redditi, alla costituzione dell’IRI, l’esposizione del Rossi individua tutte le fondamentali scelte economiche del regime; scopre le costellazioni di interessi che esse erano chiamate a favorire; indica gli speciali meccanismi — politici, burocratici, giuridici — destinati a realizzarle, e che vennero progressivamente e stabilmente alterando le strutture dello stato e quelle del mercato nazionale; analizza minutamente la nuova classe dirigente modellata da quelle scelte, chiamata a gestirle e poi sopravvissuta, oltre il crollo del fascismo, a rendere più difficile, con le sue abitudini di malcostume e di incompetenza, la rinascita democratica
Pietro Grifone – Il Capitale finanziario in Italia
Pietro Grifone scrisse questo libro nel 1940, per i confinati politici di Ventotene. Aveva lavorato nell’ufficio studi della confindustria nel periodo fascista, e dominava perfettamente tutti gli aspetti tecnici della materia.
Il libro descrive l’ascesa, e poi la crisi, del capitale finanziario, concepito come struttura di fondo dell’economia italiana e come elemento di coesione della classe borghese. Ma è anche, consapevolmente, una storia, breve ma ricchissima di dati, dell’economia fascista. Malgrado il tempo trascorso, osserva Vittorio Foa nella sua introduzione, l’opera non è invecchiata (la rende attuale l’intreccio che le è proprio fra impegno storiografico e azione politica) e anzi, con l’accendersi dell’interesse storiografico sul periodo tra le due guerre, mantiene una insostituibile utilità come punto di riferimento e stimolo alla riflessione.
Daniel Guérin – Fascismo e gran capitale
In questo libro, si è tentato di definire la natura del fascismo, perseguendo tale obbiettivo attraverso lo studio del fenomeno là dove esso si è manifestato in maniera assolutamente caratterizzata e dove riveste, per così dire, la sua forma più classica: in Italia e in Germania.
Questo libro non è una storia del fascismo in quei due paesi; non è nemmeno un ‘analisi comparata tra i due fenomeni, ovvero un bilancio dei loro caratteri comuni e di quelli specifici. Volutamente, le differenze sono state trascurate nel tentativo di individuare, al di là delle contingenze proprie a ciascuno dei due paesi, un certo numero di elementi generali, ossia – se in politica è lecito esprimersi in termini scientifici – un certo numero di leggi
Domenico Preti – Economia e istituzioni nello stato fascista
La convinzione profonda che i tratti negativi impressi al nostro paese dal fascismo abbiano giocato un ruolo di primissimo piano nel corso successivo della storia nazionale, e l’esigenza di ricercare sul piano dell’analisi storica gli elementi originali, le specificità che il modo di produzione capitalistico assunse in Italia durante il ventennio fascista, costituiscono la cornice entro cui si collocano gli studi raccolti in questo volume. Con essi l’autore ha tentato un approccio metodologico che, se ha mirato ad allargare il più possibile il campo dell’osservazione, ha anche inteso ribadire nettamente il carattere repressivo ed antioperaio della dittatura mussoliniana. Il quadro che emerge è senza dubbio un quadro fosco; appare in drammatica evidenza che lo Stato fascista è incapace di controllare e di resistere alle spinte corporative che salgono prepotentemente dai più diversi settori economici e sociali del paese. Questo fatto porta non solo ad un sistema iniquo e sperequato che tende ad annullare la coscienza di classe nelle contrapposizioni tra categorie protette e non protette dallo Stato, ma anche ad un assetto statuale in cui importanti settori dell’amministrazione pubblica sfuggiranno ad ogni richiamo e controllo da parte del potere centrale. È l’avvio di un processo degenerativo nel quale uno Stato autoritario finirà per mostrarsi con gli anni sempre più privo di autorità
Mauro Marconi – La politica monetaria del fascismo
Piero Melograni – Gli Industriali e Mussolini
Gli industriali italiani concorsero largamente a determinare il successo del fascismo: tuttavia un’ampia documentazione attesta che anche fra loro si manifestarono numerose diffidenze nei confronti di quel movimento, e che, in sostanza, l’atteggiamento dei dirigenti industriali non risultò molto diverso da quello della maggior parte dei dirigenti politici borghesi. È noto, difatti, come da Giovanni Giolitti ad Antonio Salandra, da Luigi Albertini a Benedetto Croce, fosse convinzione diffusa che il fascismo, opportunamente incanalato, potesse contribuire positivamente al rinnovamento della vita nazionale: anche gli industriali, per un certo tempo, condivisero con i politici il disegno di incanalare e «strumentalizzare» il fascismo. Fu solamente in un secondo momento, dopo che la vanità di quel disegno venne dimostrata dai fatti, che le differenze tra quei politici e gli imprenditori si approfondirono; gli uni uscirono di scena, mentre gli altri, che dissero di se stessi di essere «ministeriali per definizione», aderirono al regime mussoliniano
Salvatore La Francesca – La politica economica del fascismo
Roland Sarti – Fascismo e grande industria
Non esiste una questione più controversa nella storia del fascismo che la natura dei suoi legami con l’industria. Questo studio si oppone a molte opinioni scontate riguardo ai rapporti ai rapporti fra i fascisti e la classe degli industriali italiani. All’inizio i fascisti e gli industriali si incontrano da eguali, sperando ognuno di usare l’altro per i propri fini