Nel Papà Goriot di Balzac lo studente Rastignac chiede all’amico Bianchon, citando “un passo di Rousseau”, che cosa farebbe se potesse diventare ricco uccidendo un vecchio mandarino in Cina con la sola forza di volontà, senza allontanarsi da Parigi. Dietro l’apparente provocazione, la domanda cela uno dei nodi più inestricabili della morale di ogni tempo, e troverà due risposte antitetiche: se Bianchon afferma che non ne sarebbe capace, Rastignac ribatte che la vita, talvolta, porta necessariamente a passi estremi – ed enuncia così, una volta per tutte, la sua visione di arrivista désabusé. Ma invano il lettore cercherebbe nelle opere di Rousseau il passo in questione: la “parabola del mandarino”, che di lì in poi assunse un valore proverbiale, è infatti un’invenzione di Balzac, che dimostrò tuttavia grande acume letterario e filosofico nel riferirla a un pensatore e a un periodo in cui il dibattito sull’egoismo umano e sui suoi limiti era pervenuto a interrogativi capitali, cui facevano riscontro tesi opposte. Quel relativismo morale che sembra dar luogo a “un’etica della vicinanza e a un’etica della lontananza”, ingombrante tema di riflessione già a partire dall’epoca delle grandi scoperte geografiche che e delle grandi conquiste, diventava allora il terreno di un confronto filosofico destinato a protrarsi nel tempo, e oggi ben lungi dall’essersi concluso.
Henning Ritter – Sventura lontana. Saggio sulla compassione
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