Paolo Leon – Il capitalismo e lo stato

Capitalismo e lo stato

Il sistema capitalistico è riuscito a risollevarsi dalla caduta del 2007, ma è ancora molto lontano dal superarne le conseguenze. Eppure, né il pensiero economico dominante né i governi hanno abbandonato i princìpi, le teorie e le azioni che avevano caratterizzato, per quasi un trentennio, il periodo precedente la crisi. Nessuno studioso ha ancora spiegato perché sia così difficile abbandonare le idee del passato, pur nell’evidenza del loro fallimento; e i cambiamenti oggi introdotti nelle politiche economiche sono figli più del pragmatismo che di un pensiero compiuto. Paolo Leon, tra i maggiori economisti contemporanei di scuola keynesiana, affronta le trasformazioni del capitalismo – dal modello rooseveltiano, che mira al profitto, a quello orientato invece all’accumulazione delle riforme conservatrici di Reagan e della Thatcher – e analizza i rapporti tra il capitalismo e lo Stato in una prospettiva macroeconomica. L’obiettivo, quanto mai necessario e finalmente possibile dopo decenni di oscuramento teorico, è ritrovare un’ampiezza di visione che permetta di leggere le azioni economiche nella loro complessità e relazione, ponendo le basi anche per la previsione delle loro conseguenze.

Guido Carandini – Il secolo curvo della civiltà capitalista 1914-2014

Il secolo curvo della civiltà capitalista

Un denso e coinvolgente racconto della storia della civiltà capitalista nel periodo 1914- 2014, cioè fra la Grande Guerra e la Seconda Grande Depressione, nella quale stiamo ancora vivendo. Carandini compie un’analisi critica dei principali avvenimenti degli ultimi cent’anni, un’analisi non astratta, che non si pone in un luogo privilegiato della speculazione per guardare la realtà dall’esterno del mondo stesso, come spesso accade negli approcci puramente accademici. Al contrario, lo storico si immerge nel corso degli eventi, ripercorrendone minuziosamente l’evolversi storico, per contrastare il ritorno del pensiero metafisico nelle ideologie neoliberiste. Basti guardare alle teorie e alle politiche incentrate sul «pareggio di bilancio» e applicate alla recessione e alla disoccupazione di massa che sta affliggendo l’Occidente. Il fallimento di queste politiche, che si sono ripetute in tutte le fasi critiche della civiltà capitalista, ne dimostra l’inadeguatezza e la necessità di un’analisi che le collochi finalmente all’interno di un quadro storico ben delineato in tutte le componenti sociali e umane, al di fuori di una prospettiva esclusivamente economico-finanziaria.

Luc Boltanski, Eve Chiapello – Il nuovo spirito del capitalismo

Il nuovo spirito del capitalismo

La prima grande esplorazione della trasformazione che ha travolto il mondo occidentale, la sua struttura produttiva e sociale. Boltanski e Chiapello hanno cominciato a lavorare al libro nel 1995, in un momento in cui tutta l’Europa conosceva nuove condizioni salariali e di vita. Molti lavoratori si stavano rapidamente degradando e la disoccupazione aumentava a un tasso vertiginoso. L’ analisi di questo mirabile libro parte da un inedito esame dei manuali di management destinati a formare i manager degli anni novanta. Ecco gli artefici del passaggio da una organizzazione del lavoro gerarchica a una forma di organizzazione reticolare, fondata sull’iniziativa e sull’autonomia nel luogo di lavoro. Una libertà a doppio taglio, pagata con la perdita della sicurezza materiale e psicologica. Questo spirito del capitalismo nuovo nasce, per Boltanski e Chiapello, dalla necessità di fronteggiare il libertarismo e la critica sociale degli ultimi anni sessanta. Il nuovo capitalismo trionfa perché riesce a inglobare le critiche all’alienazione della vita quotidiana. Riesce a mettere così in atto una sottile forma di sfruttamento e a rendere impotente la critica sociale.

Consiglio a cura di U.s.A.

Maurizio Lazzarato – Il governo dell’uomo indebitato. Saggio sulla condizione neoliberista

cover0001Cosa diventa l’uomo indebitato nella crisi? Qual è la sua principale attività? La risposta è molto semplice: paga. Deve espiare la propria colpa, il debito, pagando sempre nuove tasse, e non solo. La crisi finanziaria, trasformata in crisi dei debiti sovrani, impone nuove modalità di governo e nuove figure soggettive tanto sul fronte dei governanti (governi tecnici) che su quello dei governati (l’uomo indebitato). Chi governa l’economia del debito e con che mezzi? Come cambiano le tecniche di controllo della popolazione? Cosa diventa la democrazia quando è regolarmente sospesa per permettere l’applicazione di direttive che provengono da istanze economiche e politiche sovranazionali? Per rispondere a queste domande il libro si confronta con la teoria della governamentalità di Michel Foucault, con il concetto di capitale in Marx e di capitalismo in Deleuze e Guattari, con il concetto di Stato e di Welfare elaborato da Cari Schmitt. Ciò a cui mira il governo del debito non è uno “Stato minimo”, ma uno Stato liberato dalla pressione delle rivendicazioni sociali e dalla minaccia dell’allargamento dei diritti, per portare a termine l’enorme trasferimento di ricchezza dal settore pubblico a quello privato, avviato dal neoliberismo negli anni Settanta.

Maurizio Lazzarato – La fabbrica dell’uomo indebitato. Saggio sulla condizione neoliberista

cover0001Giorno dopo giorno siamo sempre più indebitati: diventiamo debitori nei confronti dello Stato, delle assicurazioni private, delle imprese… E per onorare i nostri debiti siamo sempre più costretti a farci “imprenditori” delle nostre vite, del nostro “capitale umano”. Il nostro orizzonte materiale ed esistenziale viene così del tutto stravolto e il nostro futuro preso in ostaggio. Il debito, sia privato che pubblico, è la chiave di volta attraverso la quale leggere il progetto di un’economia fondata sul paradigma neoliberista. Passando per Marx, Nietzsche, Deleuze e Foucault, Maurizio Lazzarato dimostra che il debito è anzitutto un dispositivo politico e che la relazione creditore/debitore è il rapporto sociale fondamentale che sta alla base delle società contemporanee. Perché il debito non è solo un meccanismo economico, è soprattutto una tecnologia di governo e di controllo delle soggettività individuali e collettive. Come sfuggire alla condizione neoliberista dell’uomo indebitato? Per Maurizio Lazzarato ciò che dobbiamo rimettere in discussione è proprio “il sistema del debito”, oggi alla base della struttura del capitalismo.

Luciano Gallino – L’impresa irresponsabile

Gallino impresaCondizioni di lavoro, prezzi, trasporti e media, ambiente, tempo libero, alimentazione, forme di risparmio e rischi connessi, organizzazione della famiglia, la possibilità stessa di progettarsi un’esistenza. Piaccia o no dipendono tutte da decisioni che provengono, piú che dal governo della nazione, dal governo delle imprese. Tuttavia queste ultime non paiono tener sempre conto delle conseguenze sulle nostre vite delle loro attività. Da tempo si insiste, su scala internazionale, affinché le imprese agiscano in modo socialmente piú responsabile su base volontaria. Ma teoria e pratica della «responsabilità sociale dell’impresa» diverranno comuni soltanto quando un’apposita riforma del governo dell’impresa le inserirá tra i suoi principî costitutivi.

Luciano Gallino – Con i soldi degli altri. Il capitalismo per procura contro l’economia

coverUna massa di risparmio equivalente al Pil del mondo viene gestita, a loro esclusiva discrezione, da enti finanziari quali fondi pensione, fondi di investimento, assicurazioni e vari tipi di fondi speculativi. La maggior parte è controllata da grandi banche. Il loro mestiere consiste nell’investire quotidianamente soldi degli altri: per questo sono chiamati investitori istituzionali. In appena vent’anni il peso di questo «capitalismo per procura» nell’economia mondiale è diventato formidabile: gli investitori istituzionali hanno oggi in portafoglio oltre la metà del capitale delle imprese quotate. Nel tutelare gli interessi dei risparmiatori, sono in genere indifferenti alle conseguenze sociali degli investimenti che effettuano. Il loro unico criterio guida è la massimizzazione a breve termine del rendimento finanziario. Dalla crisi esplosa nel 2008, che ha coinvolto in diversi modi anche gli investitori istituzionali, si potrà stabilmente uscire soltanto con nuove forme di regolazione dell’economia. Posto che controllano la metà di essa, le riforme dovranno necessariamente coinvolgere anche questi enti: se i loro capitali fossero investiti in infrastrutture, scuole, trasporti, ambiente, l’economia del mondo ne trarrebbe sicuro vantaggio. A tale scopo occorrerebbe anche ridare voce, nelle loro strategie di investimento, ai milioni di persone che a essi affidano i loro soldi.

David Harvey – Diciassette contraddizioni e la fine del capitalismo

coverLa contraddizione tra realtà e apparenza, tra capitale e lavoro, tra valore d’uso e valore di scambio, tra proprietà privata e Stato capitalistico, tra monopolio e concorrenza, tra valore sociale del lavoro e sua rappresentazione monetaria… Sono diciassette le grandi contraddizioni che Harvey individua: stanno al cuore del capitalismo, alcune sono interdipendenti, tutte si intrecciano fra loro e, quando si acuiscono, producono instabilità e crisi; oggi ne mettono a rischio la tenuta. La spinta ad accumulare capitale al di là delle possibilità di investimento, l’imperativo di usare i metodi più economici di produzione che porta ad avere consumatori senza mezzi per il consumo, l’ossessione di sfruttare la natura fino al rischio dell’estinzione: sono antinomie di questo tipo che sottostanno alla persistenza della disoccupazione di massa, alle spirali discendenti dello sviluppo in Europa e Giappone, agli instabili salti in avanti di paesi come Cina e India. Non tutte le contraddizioni del capitale sono ingestibili, alcune possono condurre a quelle innovazioni che ridanno forza al capitalismo e lo fanno apparire saldo e duraturo. Tuttavia l’apparenza può ingannare: se è vero che molte delle contraddizioni del capitale possono venire gestite, altre potrebbero essere fatali per la nostra società. Per evitare un simile esito questo libro si propone tanto come un’efficace guida al mondo che ci circonda quanto come un manifesto per il cambiamento. Recuperando il concetto marxiano di alienazione, nella prospettiva di un nuovo umanesimo.

Diego Fusaro – Il futuro è nostro. Filosofia dell’azione

coverIl sistema economico in cui viviamo, a differenza dei regimi del passato, non pretende di essere perfetto: semplicemente nega l’esistenza di alternative. Per la prima volta il potere non manifesta le proprie qualità, ma fa vanto del proprio carattere inevitabile. Il nuovo saggio di Diego Fusaro è un colpo di frusta alla retorica della realtà come situazione immutabile, all’abitudine di prenderne atto anziché costruirne una migliore. Si impone così il principale comandamento del monoteismo del mercato: “non avrai altra società all’infuori di questa!” Il primo compito di una filosofia resistente è quindi ripensare il mondo come storia e come possibilità, creare le condizioni per cui gli uomini si riscoprano appassionati ribelli in cerca di un futuro diverso e migliore.
A partire da questo pensiero in rivolta, si può combattere il fanatismo dell’economia: e, di qui, tornare a lottare in vista di una più giusta “città futura”, un luogo comune di umanità in cui ciascuno sia ugualmente libero rispetto a tutti gli altri.

Diego Fusaro – Essere senza tempo

coverViviamo nell’epoca della fretta, un “tempo senza tempo” in cui tutto corre scompostamente, impedendoci non soltanto di vivere pienamente gli istanti presenti, ma anche di riflettere serenamente su quanto accade intorno a noi. Di qui il paradosso di una filosofia della fretta, nel tentativo di far convergere la “pazienza del concetto” e i ritmi elettrizzanti del mondo. L’endiadi di essere e tempo a cui Martin Heidegger aveva consacrato il suo capolavoro del ’27 sembra oggi riconfigurarsi nell’inquietante forma di un perenne essere senza tempo. Figlio legittimo dell’accelerazione della storia inaugurata dalla Rivoluzione industriale e da quella francese, il fenomeno della fretta fu promosso, sul piano teorico, dalla passione illuministica per il futuro come luogo di realizzazione di progetti di emancipazione e di perfezionamento. La nostra epoca “postmoderna”, che pure ha smesso di credere nell’avvenire, non ha per questo cessato di affrettarsi, dando vita a una versione del tutto autoreferenziale della fretta: una versione nichilistica, perché svuotata dai progetti di emancipazione universale e dalle promesse di colonizzazione del futuro. Nella cornice dell’eternizzazione dell’oggi resa possibile dalla glaciale desertificazione dell’avvenire determinata dal capitalismo globale, il motto dell’uomo contemporaneo – mi affretto, dunque sono – sembra accompagnarsi a una assoluta mancanza di consapevolezza dei fini e delle destinazioni verso cui accelerare il processo di trascendimento del presente.