Nel luglio 1966 Gunther Anders, in compagnia della terza moglie Charlotte Zelka, raggiunge la Polonia. I luoghi visitati dovrebbero stare sotto segni opposti: l’orrore innominabile di Auschwitz, a cui l’ebreo Anders e scampato perché esule negli Stati Uniti, che cosa ha da spartire con il paesaggio affettivo di Breslavia, la città della Slesia che lo vide nascere e andarsene con la famiglia appena adolescente, quando ancora il suo cognome era Stern? Nessun idillio della memoria conforterà il sopravvissuto Anders-Stern nella “Heimat”, sconvolta per sempre dalla dismisura di ciò che accadde. Ad attenderlo, solo lo spaesamento e il mondo tellurico delle ombre, dove l’appartenenza assume l’aspetto inquietante dell’estraneità. “Cio che spaventa non e quello che non c’è più, non il vuoto, ma al contrario le cose che, casualmente, continuano a esserci nel vuoto che in realtà ci aspettiamo.” Un pellegrinaggio infero tra unicità del ricordo individuale e grande storia, dove ancora una volta l’acutissimo sguardo di Anders mette a nudo la modernità in disfacimento.
Günther Anders – Discesa all’Ade. Auschwitz e Breslavia, 1966
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