Ceronetti è un esploratore instancabile delle vaste plaghe del Male. In ogni direzione: nel passato, in terre lontane o fra le strade dove ci troviamo a camminare ogni giorno. Un ritaglio di giornale, un neologismo, il rictus di un ignoto: tanto basta, se lo seguiamo, per scoprire paesaggi devastati della mente o della realtà ufficialmente riconosciuta. Ma ci sono anche frequenti deviazioni, in queste indagini del pamphlettista flâneur, del filologo cantastorie. Sono scarti improvvisi che ci immettono in mondi paralleli, ad altre leggi obbedienti: un fotogramma di Arletty, una frase di Céline, un distico di Angelus Silesius. A distanza di vent’anni da La carta è stanca, e ormai in prossimità dei «tristi Duemila», Ceronetti ha raccolto e rielaborato un altro fascio dei suoi articoli, che sono sempre seguiti da una tenace tribù di lettori, felici di incontrare quelle scintille improbabili in mezzo alla folla desolata di tutto ciò che fa notizia.
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Arthur Schnitzler – Il libro dei motti e delle riflessioni
Tra il 1924 e il 1927 Schnitzler riordina con passione aforismi vecchi e nuovi in cui racchiude, con il gusto del frammento che caratterizza il suo pensiero, una visione del mondo e una poetica. Piace lo stile, la ricchezza dei temi, la varietà delle prese di posizione su problemi artistici, morali e religiosi, le relazioni tra i sessi, la società del tempo, giudicata da Schnitzler con rigone e ironia.
Guido Ceronetti – Insetti senza frontiere
olo il Filosofo Ignoto, in arte Guido Ceronetti, poteva fondare Insetti senza frontiere, un’«associazione senza fini di lucro» in difesa della «libertà di pungere» e per la tutela degli insetti, se necessario a scapito del sopravvalutato, e in ogni caso sovrabbondante, genere umano. In questo straordinario, singolarissimo libro, che ne costituisce il manifesto e il programma, Ceronetti riprende il suo instancabile pellegrinaggio verso i luoghi che esplora da sempre – il corpo, la morte, il crimine, ma anche le fotografie, i versi di poeti lontanissimi, i dipinti, e ancora i giornali, le città, le librerie – unendo alle aspre certezze dell’aforista («Alla luce del Tragico il mondo non è inesplicabile») i trucchi di un venditore di almanacchi, che intende girare «fiere, supermercati e suk» e proporre una nuova forma di intrattenimento, o di terapia, popolare: l’ascolto personalizzato di «ronzii d’alveare, cori delle cicale, cantare dei grilli».
Guido Ceronetti – Tra pensieri
Nel febbraio del 1991 Paolo Mieli, allora direttore della Stampa, affidò a Ceronetti uno spazio quotidiano sulla prima pagina del suo giornale. Ora, ripresi e ampliati, questi pensieri di altri (da Confucio a Campanile, da Heidegger a Salamov a Yeats, chiamati a rappresentare in sintesi, le passioni, gli sdegni, le idiosincrasie del compilatore di questa singolare antologia) vengono dallo stesso Ceronetti raccolti in un volume, preceduti da una sua nota in forma di viatico per un viaggio, o vagabondaggio, appunto, tra pensieri.
Guido Ceronetti – Pensieri del tè
Due volte al giorno, di prima mattina e verso le cinque del pomeriggio, Ceronetti beve qualche tazza di tè verde cinese. In quei momenti la parola si riaccende, la mente opera collegamenti nuovi. «Il soffio del Tè s’infonde negli angoli morti, non si sgomenta d’interrogare statue imbracate». Da dove vengono, quei pensieri? Da ogni luogo, dai dizionari e dal ricordo, da Bernadette e da Rathenau, dal Corano e da Conrad, da Baudelaire e da Tocqueville, da un ritaglio di giornale e da un sogno. Ceronetti gli avvolge intorno, con delicatezza, un altro pensiero, «che si fa parola o figura». Così si sono formate queste pagine, che avranno sui loro lettori lo stesso effetto rischiarante che ha il tè verde sul loro autore, agendo come un’invisibile e aromatica barriera di protezione «da ogni specie d’inerzia, d’inebetimento, di abbattimento».
Guido Ceronetti – L’occhio del barbagianni
Elias Canetti – La provincia dell’uomo. Quaderni di appunti 1942-1972
Da quasi quarant’anni Elias Canetti tiene dei ‘quaderni di appunti’ che un giorno appariranno, si può supporre, come una delle opere più sorprendenti del nostro tempo. Ma già questa scelta, fatta da Canetti stesso, e che ora pubblichiamo, è un libro che lascia tracce indelebili su chiunque gli si avvicini. Qui abbiamo davanti a noi un pensiero e un’immaginazione incandescenti e ribollenti per l’intensità, e al tempo stesso soggetti a una disciplina che li obbliga a manifestarsi soltanto quando il loro materiale ha raggiunto la durezza e la lucentezza del diamante. Canetti, questo esemplare «nemico della morte», ha sempre posto esigenze assolute allo scrivere. Dal suo unico, e imponente romanzo, Auto da fé, alla sua opera centrale, Massa e potere, ogni libro di Canetti è una sfida gettata contro un avversario strapotente, che si insinua in ogni piega delle cose: la morte. E, intrecciata a essa, è l’immagine del potere, di cui Canetti ha saputo illuminare, come nessuno oggi, i terribili segreti.
Elias Canetti – Il cuore segreto dell’orologio. Quaderni di appunti 1973-1985
I lettori di Canetti sanno che, nella sua opera, dietro le parti visibili si erge un massiccio in larga misura invisibile: quello degli appunti, che Canetti scrive ormai da decenni. Di questi «appunti» conoscevamo sinora La provincia dell’uomo. E qui si aggiunge Il cuore segreto dell’orologio (1987), che comprende gli anni 1972-1985, il periodo in cui Canetti ha scritto i tre volumi della sua autobiografia. Ancora una volta troveremo qui aforismi, immagini balenanti, schegge di ipotesi, romanzi in due righe, riflessioni su scrittori amati e avversati (memorabili gli accenni a Aubrey, a Joubert, a Walser, a Zhuang-zi), osservazioni su un’immensa varietà di temi, infine frammenti di un dialogo serrato con se stesso che permette di intravedere, attraverso preziosi spiragli, le linee di un autoritratto sempre in formazione. Qui, più che mai, Canetti è incisivo, aspro, tagliente, spinto da una sorta di furia dell’essenziale. Il tempo, che induce molti ad arrotondare le punte, per Canetti agisce in senso opposto: ogni elemento subisce una accentuazione e agisce sul lettore come una scossa ravvivante. E, al tempo stesso, mai come in questi «appunti» Canetti sembra concedersi scioltezza di respiro e libertà di movimento in ogni direzione, come se in questa forma trovasse il contravveleno alla poderosa concentrazione che esigono da lui, volta per volta, le sue singole opere. Mai come negli «appunti» Canetti tiene fermo a se stesso e si permette di andare contro se stesso, seguendo un’oscillazione concisamente descritta proprio in queste pagine: «Chi obbedisce a se stesso soffoca non meno di chi obbedisce ad altri. Soltanto l’incoerente non soffoca, colui che si dà ordini ai quali si sottrae. Talvolta, in circostanze particolari, è giusto soffocare».
Elias Canetti – Un regno di matite. Appunti 1992-1993
Canetti appartiene a quegli scrittori che nella vecchiaia hanno raggiunto un grado altissimo di libertà e sovranità dello spirito – qui applicata a ritessere ancora una volta il suo pensiero su temi che lo hanno da sempre accompagnato: la massa, la morte, il mito. Ma la forma degli «appunti», mirabilmente agile, consente a Canetti anche di puntare in tutt’altre direzioni: ammirazioni relativamente recenti e intensissime, come quella per Robert Walser; avversioni antiche che di continuo si riaccendono, come quella per Nietzsche; ricordi acuminati di persone che nella vita di Canetti molto hanno contato, come l’antropologo Franz Steiner o il viennese Abraham Sonne; reazioni a onnivore letture, sempre in corso; infine riferimenti agli orrori del momento, in questo caso Sarajevo e i suoi massacri. E sempre usciamo da queste densissime stenografie corroborati e rinnovati.
Emil Cioran – Sillogismi dell’amarezza
Cioran arrivò all’aforisma per avere «conosciuto la paura in mezzo alle parole». Dopo aver pubblicato quel trattato sul bordo di un precipizio che è il Sommario di decomposizione (1949), quasi sollevato da un soffio di crudele euforia incise questi fulminei «sillogismi», che stabiliscono una consequenzialità drastica fra termini che nessuna logica riuscirà mai a dominare: il vuoto, la solitudine, l’erotismo, il suicidio, la musica, la storia, il tempo. Ignorato all’inizio, come accade ai testi troppo anticipatori, questo libro divenne a poco a poco il più popolare di Cioran, se per popolare s’intende l’aver viaggiato, come un compagno invisibile, nelle tasche di molti lettori – e soprattutto di quei giovani superstiti che non hanno freddo agli occhi. E più che mai sentiamo oggi il bisogno di questa totale spregiudicatezza metafisica, che fa scrivere a Cioran: «Vago attraverso i giorni come una puttana in un mondo senza marciapiedi».