Per abbandonare veramente il ginnasio di Salisburgo già descritto ne L’origine, con la sua nefasta mistura di nazismo e pietà cattolica, il giovane Bernhard doveva scegliere qualcosa che fosse anzitutto, e in tutti i sensi, «nella direzione opposta», il punto più lontano possibile nella direzione opposta. Perciò abbandonare il centro di Salisburgo, dove le persone stesse sono «arte decorativa», e finire nel quartiere più malfamato e più sordido della città, i cui abitanti vengono spesso chiamati «feccia dell’umanità». E in quel quartiere fermarsi nel negozio dell’amabile signor Podlaha: una cantina adibita a spaccio di alimentari, sempre piena di clienti, di movimento, di cose da fare. Quel luogo, al centro dell’«anticamera dell’inferno», ha però qualcosa di oscuramente attraente: i clienti vi entrano anche senza ragione, trafficano con i bollini delle tessere annonarie, parlano della guerra e delle storie per lo più atroci che li riguardano, bevendo rum dalla bottiglia che hanno con sé. L’apprendista Bernhard li ascolta con attenzione vorace, attraverso di loro entra in molte vite, in molte case, spesso portando pesanti borse della spesa e chiacchierando nella lingua cruda e netta del luogo. Impara «a vivere in compagnia di molte persone fra loro diversissime», il suo dono di intenso osservatore si acuisce. Per lui tutto questo equivale, anche se ancora forse non lo sa, a una prima sortita in quello che sarà il suo territorio di scrittore: da quel quartiere che è la «macchia di sporcizia» nella nobile città di Salisburgo, e dall’umida cantina che è il suo centro segreto, si propaga una moltitudine di voci disparate, disadorne, stridenti, che Bernhard amorosamente raccoglierà nella sua prosa angolosa, martellante, obbedendo alla sua vocazione di «disturbatore della pubblica quiete». Così egli ha potuto scrivere che il periodo di apprendistato nel negozio di alimentari è stato il «più importante» della sua vita. «La cantina è stata la mia salvezza, l’anticamera dell’inferno (o inferno) il mio solo rifugio».
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Thomas Bernhard – Il respiro. Una decisione
Come in un’allucinazione, il diciottenne Thomas Bernhard si risveglia un giorno in «un lungo corridoio» con una «infinita serie di stanze, aperte e chiuse, popolate da centinaia se non migliaia di pazienti». È l’ospedale dove Bernhard lotterà per sopravvivere a una grave malattia polmonare. Ed è una delle più nette immagini di «inferno» che Bernhard, maestro nella precisione dell’orrore, ci abbia trasmesso. Qui, in una stanza da bagno dove una suora passa ogni mezz’ora per alzare il braccio del paziente e sentire se ancora si avverte il polso, Bernhard decide di non permettere che gli uomini della sala anatomica con le loro bare di zinco vengano a prenderlo, insieme agli altri morti, come «sgomberando un magazzino di marionette». Decide di vivere. È un momento spartiacque: nella massima inermità, la massima determinazione. Così comincia una traversata delle regioni di confine fra la vita e la morte che è diventata poi, non solo un passaggio cruciale nella vita di Thomas Bernhard, e non solo questo libro, altrettanto cruciale, ma l’opera intera di Bernhard, che qui si mostra nei suoi due gesti originari: la testarda determinazione di vivere e la conoscenza immediata, quasi tattile della morte: «Qui, in questo trapassatoio, io mi ero imposto di non abbandonarmi alla disperazione, semplicemente dovevo lasciare che la natura umana, la quale si palesava qui, come probabilmente in nessun altro luogo, con assoluta brutalità, facesse il suo corso».
Thomas Bernhard – Il freddo. Una segregazione
Il freddo racconta il periodo passato da Thomas Bernhard, fra i diciotto e i diciannove anni, nel sanatorio pubblico di Grafenhof. Ed è la storia di un’altra lotta durissima per la sopravvivenza, dove la malattia che assale il giovane Bernhard è al tempo stesso una malattia terribilmente fisica – legata a una specifica persecutorietà ambientale e sociale – e una malattia dell’anima, come già indica l’epigrafe di Novalis, che è la chiave del libro: «Ogni malattia può essere definita malattia dell’anima». In questa vicenda di un «inabissarsi» in una «comunità della morte», per poi riemergerne quando tutto sembra perduto, arricchito dalla scoperta che «la via dell’assurdo è la sola praticabile», e quasi salvato dalla musica (a cui allora contava di dedicarsi), Bernhard ci offre il penultimo, possente pannello della sua autobiografia, impresa solitaria e altissima della letteratura del nostro tempo.
Thomas Bernhard – Un bambino
Bernhard scrisse per ultima questa parte dell’autobiografia che racconta i suoi primi anni, fino all’entrata nel collegio di Salisburgo. Ed è come se, tornando alle radici di angosce e orrori, egli raggiungesse uno stato di euforia, di leggerezza, di primordiale scoperta, altre volte celato o piegato alla lotta feroce con il mondo circostante. Qui tutto comincia con un bambino di otto anni che si getta in una sfrenata spedizione in bicicletta. «Sarebbe stato del tutto contrario alla mia natura scendere dalla bicicletta dopo qualche giro; come tutte le imprese che iniziavo, anche questa la spingevo fino all’estremo». In questo bambino che si lancia con la bicicletta fino all’estremo c’è già tutto Bernhard. Ma in una versione più ariosa, di elementare felicità. Aspetto che ritroveremo anche nei ritratti mirabilmente nitidi del nonno, della madre e degli amici d’infanzia. Tutte le torture che il mondo tiene in serbo già si intravedono, si presagiscono o irrompono sulla scena (siamo negli anni del nazismo e della guerra) – ma anche, con grande naturalezza, l’irresistibile meraviglia del bambino davanti a una tazza di cioccolata calda, quando i nonni lo portano con loro nel vasto mondo, a pochi chilometri da casa.
Thomas Bernhard – I mangia a poco [Epub – Mobi]
Da una parte un uomo di pensiero che cerca caparbiamente, e invano, di riversare in un libro (un audacissimo trattato di fisiognomica) sedici anni di furiose riflessioni; dall’altra quattro personaggi dalle vicende ordinarie, legati fra loro solo dall’abitudine di pranzare insieme alla CPV (la Cucina Pubblica Viennese) scegliendo puntualmente il menù più economico. Fra questi due poli, come fra due diversi volti di un’unica entità che è la mania stessa- motore immobile dell’esistenza, cintura di salvataggio nel tentativo di sopravvivere- si interesse I mangia poco. Anche qui, come spesso in Bernhard, sarà lecito domandarsi se ci si trova in mezzo a una tragedia o a una commedia. Ciò che domina è comunque un’indagine maniacale- e spesso esilarante- della mania, a ogni suo livello, dall’infimo al supremo, vista come ultimo, disperato relitto di un grandioso tentativo di imporre un senso all’esistenza; un’esistenza mutila, così come mutilato è il protagonista Koller, cui il morso di un cane ha inflitto una ben remunerata invalidità. E tutto questo perché l’uomo è in balia del caso, proprio come Koller, che un fatidico giorno- fausto, e insieme infausto- in un parco viennese, anziché andare automaticamente e come sempre verso il vecchio frassino, va verso la vecchia quercia, ribaltando così la sua esistenza e arrivando nel contempo al centro del proprio «filosofismo».