Quale significato può avere Nietzsche oggi, in un’epoca che sembra prendere risolutamente le distanze dal suo pensiero in nome di una istanza ontologica di stampo realista? Nonostante i tentativi di interpretarne l’opera come prototipo di filosofia irrazionalista, di pensiero metafisico o di cultura postmoderna, come profezia di una grande politica dapprima reazionaria poi rivoluzionaria, Nietzsche appare tuttora fecondamente inattuale, irriducibile agli stereotipi di fautore del superuomo e dell’eterno ritorno conseguenti alla morte di Dio. È giunto forse il tempo di comprendere che il principale intento del filosofo della gaia scienza è la valorizzazione degli affetti e del mondo delle cose prossime, da sempre svalutate dalla morale e dalla metafisica: egli sostiene che la volontà di potenza è affetto, non dominio o sopraffazione. La trasvalutazione dei valori non conduce al relativismo scettico ma a una futura obiettività, adeguata alla complessità del reale e alla complementarietà tra arte e scienza. Dopo aver sondato gli abissi del dolore, Nietzsche pensa a un mutamento antropologico, a un oltreuomo che ha utilizzato l’esperienza della malattia come strumento di conoscenza e di indagine sulla grande ragione insita nel corpo e che, attraverso l’esercizio estetico del grande stile, potrà finalmente esprimere la potenza di grandi affetti.
Marco Vozza – Il nuovo infinito di Nietzsche
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