Un’impresa capace di creare profitto non solo per gratificare i suoi azionisti, ma anche per produrre benessere, sicurezza e bellezza, per chi vi lavora come per la comunità che la ospita: Olivetti è stato un imprenditore e un uomo di cultura in straordinario anticipo sui propri tempi. A piú di cinquant’anni dalla sua morte, le idee di Olivetti – sul ruolo dell’industria, sulle funzioni dello stato sociale, sul rapporto tra impresa e territorio – continuano a sembrare in aperto contrasto con quanto si pratica e si scrive. Per cercare di comprendere (e di colmare) tale discrepanza, Luciano Gallino riflette su quell’idea di «impresa responsabile» che Olivetti cercava, giorno per giorno, di mettere in pratica negli stabilimenti e negli uffici di Ivrea. Gallino è stato assunto da Olivetti nel 1955 e ha potuto cosí conoscere da vicino, a Ivrea, come questi pensava e operava nel quotidiano impegno di capo d’industria, e al tempo stesso, di pensatore politico, editore, promotore di piani territoriali. Questa intervista, pubblicata da Edizioni Comunità nel 2001, viene presentata qui riveduta, e con l’aggiunta di una nuova Prefazione. Gallino, abilmente sollecitato da Paolo Ceri, ricostruisce, senza alcun intento agiografico, la storia di un percorso umano, filosofico ed economico che continua a sfidare, per modernità e lungimiranza, il nostro presente.
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Luciano Gallino – L’impresa irresponsabile
Condizioni di lavoro, prezzi, trasporti e media, ambiente, tempo libero, alimentazione, forme di risparmio e rischi connessi, organizzazione della famiglia, la possibilità stessa di progettarsi un’esistenza. Piaccia o no dipendono tutte da decisioni che provengono, piú che dal governo della nazione, dal governo delle imprese. Tuttavia queste ultime non paiono tener sempre conto delle conseguenze sulle nostre vite delle loro attività. Da tempo si insiste, su scala internazionale, affinché le imprese agiscano in modo socialmente piú responsabile su base volontaria. Ma teoria e pratica della «responsabilità sociale dell’impresa» diverranno comuni soltanto quando un’apposita riforma del governo dell’impresa le inserirá tra i suoi principî costitutivi.
Luciano Gallino – Tecnologia e democrazia. Conoscenze tecniche e scientifiche come beni pubblici
Molti scienziati temono inoltre che le tecnologie alla base dei nostri elevatissimi consumi, cui guarda con legittime aspettative la maggioranza della popolazione mondiale, stiano diventando insostenibili proprio per i sistemi che sostengono la vita. Considerata la posta in gioco, dovremmo forse adoperarci maggiormente per comprendere i poteri della tecnologia scientificizzata, i loro effetti a lungo periodo, e quali possibilità sussistono per indirizzarli piú efficacemente a scopi umani. Senza rinunciare ai benefici acquisiti, ma anche senza ignorare che essi dipendono da ciò che la tecnologia e la scienza sapranno fare per gli esclusi del mondo, e per il futuro del pianeta. I saggi organicamente raccolti in questo volume tratteggiano da differenti prospettive una serie di risposte ai complessi interrogativi che nascono dalle contraddizioni e incognite sopra delineate.
Luciano Gallino – Il lavoro non è una merce. Contro la flessibilità
Sono così rare di questi tempi le voci fuori del coro che seguirne qualcuna allarga mente e spirito, per giunta ben articolata per scrupolo d’analisi, solidità degli argomenti, capacità di disvelamento di diffuse ma anche false credenze. Tanto più se l’originalità dell’approccio riguarda un tema (il mercato del lavoro) oggi cruciale. È questo il caso di Luciano Gallino. Massimo Riva, “la Repubblica.” Un libro chiaro, ricco di dati e di riflessioni critiche; un libro anticonformista contro il conformismo della flessibilità ad ogni costo; e antiretorico contro le retoriche della flessibilità come virtù. Lelio Demichelis, “Tuttolibri” Non solo non è giusto che il precariato oggi sia merce di scambio dell’economia globalizzata, ma nemmeno intelligente per una società che voglia congiungere allo sviluppo economico lo sviluppo umano.
Luciano Gallino – Con i soldi degli altri. Il capitalismo per procura contro l’economia
Una massa di risparmio equivalente al Pil del mondo viene gestita, a loro esclusiva discrezione, da enti finanziari quali fondi pensione, fondi di investimento, assicurazioni e vari tipi di fondi speculativi. La maggior parte è controllata da grandi banche. Il loro mestiere consiste nell’investire quotidianamente soldi degli altri: per questo sono chiamati investitori istituzionali. In appena vent’anni il peso di questo «capitalismo per procura» nell’economia mondiale è diventato formidabile: gli investitori istituzionali hanno oggi in portafoglio oltre la metà del capitale delle imprese quotate. Nel tutelare gli interessi dei risparmiatori, sono in genere indifferenti alle conseguenze sociali degli investimenti che effettuano. Il loro unico criterio guida è la massimizzazione a breve termine del rendimento finanziario. Dalla crisi esplosa nel 2008, che ha coinvolto in diversi modi anche gli investitori istituzionali, si potrà stabilmente uscire soltanto con nuove forme di regolazione dell’economia. Posto che controllano la metà di essa, le riforme dovranno necessariamente coinvolgere anche questi enti: se i loro capitali fossero investiti in infrastrutture, scuole, trasporti, ambiente, l’economia del mondo ne trarrebbe sicuro vantaggio. A tale scopo occorrerebbe anche ridare voce, nelle loro strategie di investimento, ai milioni di persone che a essi affidano i loro soldi.
Luciano Gallino – Il colpo di Stato di banche e governi. L’attacco alla democrazia in Europa [Epub – Mobi]
Le politiche di austerità dei governi UE non segnano semplicemente un cedimento della politica al potere della finanza. Di piú: si è trattato di un colpo di stato che ha portato all’espropriazione subitanea e categorica delle prerogative dei cittadini e dei parlamenti da parte delle banche e dei governi con l’appoggio della troika di Bruxelles.
Dopo la crisi della Grecia e le situazioni di equilibrio precario di altri stati (Spagna, Portogallo e Italia), è ormai evidente che in Europa si stia assistendo a un vero e proprio processo di «de-democratizzazione». I governi della UE, infatti, tollerano da troppo tempo che il capitalismo (travolto dalla crisi e dagli scandali della finanza) detti loro le regole della politica. È sufficiente vedere la lettera che la Commissione Europea ha inviato al governo di centro-destra italiano poco prima della sua caduta, nel novembre 2011; o il Memorandum di intesa alla Grecia nel febbraio 2012; o, ancora, il Trattato di stabilità (o Patto fiscale) firmato dai capi di governo a marzo. Tutti questi interventi contengono dettagliatissime e imperative ingiunzioni in tema di finanza pubblica, mercato del lavoro, competitività e semplificazioni regolative. Con l’obiettivo primario di privatizzare i sistemi europei di protezione sociale al fine di dirottare il loro cospicuo bilancio (circa il 20% del Pil della UE) verso le imprese e le banche. Per contrastare questi esiti drammatici, argomenta Luciano Gallino, è urgente riprendere in mano il progetto federativo, a partire dal Trattato di Lisbona, e «costruire un ponte tra società civile e partiti, tra movimenti e partiti», e «un’ulteriore integrazione, un travaso di opinioni e di forze».