All’epoca dei fatti si consideravano già clamorosi i nudi dati di questa vicenda: l’abbattimento sul suolo sovietico di un aereo spia U2, la cattura del suo pilota, Gary Powers, le lunghe trattaive che poi condussero a consegnare ai russi, in cambio di Powers, una loro spia arrestata anni prima a Brooklyn: Rudolf Abel. E la sua scena conclusiva era quanto di più cinematografico: la luce livida di un piovoso mattino di febbraio del 1962, il ponte di Glienecke a Berlino, le due delegazioni che si scambiano i prigionieri. Non sorprende che Steven Spielberg ci abbia costruito intorno “Il ponte delle spie”. Il film però è la storia di James Donovan, l’avvocato di Abel, quindi risponde solo di passaggio alla domanda cui molti anni fa, con lo scrupolo ossessivo di un ex agente del KGB, ha tentato di rispondere, in questo libro, Kirill Chenkin: chi era Rudolf Abel? La risposta, scopriranno i lettori, è molto più enigmatica- e per certi versi più clamorosa- della vicenda stessa. Tanto per cominciare, infatti, Rudolf Abel non era Rudolf Abel, ma un suo amico, Willy Fisher, sulla cui tomba compare il nome vero: seguito, per esteso, da quello di Abel. Troppo beffardo addirittura per una spia come Chenkin, che peraltro di Fisher era stato allievo; e troppo enigmatico per chi, allora come oggi, non fosse addentro ai meccanismi, alle procedure e ai deliri di quell’immane apparato di disinformazione che era (e per il non poco che ne sopravvive, ancora è) la Russia sovietica. Di cui questo libro – che non “si legge” come una spy story, ma “è” una (grandissima) spy story – rimane forse la descrizione più sconcertante e, a suo modo, indimenticabile.
Kirill Chenkin – Il cacciatore capovolto. Il caso Abel
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