Parlando di Joseph Cornell, uno degli artisti che più amava, Parise addita nel «colpo d’occhio» la chiave del suo sistema interpretativo. Ma proprio la capacità di racchiudere in un dettaglio la segreta morfologia di un personaggio è la qualità che più colpisce in questi scritti, dove Parise ci parla soprattutto degli autori e dei libri che per lui hanno contato (con «incursioni ingiustificate» nel mondo dell’arte, della pittura e del cinema). E ogni volta abbiamo l’impressione che in quel dettaglio di somma densità precipiti in maniera definitiva ciò che volevamo sapere. Dettaglio spesso fisico, corporeo, colto con lo sguardo e con tutti gli altri sensi, al di là di ogni confine tra umano, animale e vegetale: come «l’attenzione-lampo» degli occhi di Montale, perle che intravediamo attraverso «la fessura delle valve»; la «carne lustra e i pori fumanti» di Comisso, «verdura grassa come i cavoli, le verze e l’insalata»; il viso «di diavoletto o di pipistrello» di Kawabata, indizio di una sensualità potente e tragica, tutta mentale – o la folgorante postura in cui viene ritratto Gadda: «E nel capire, convinto invece di far confusione e di non capire un bel nulla, un dolore in forma di lacrima ideale gli corse lungo la guancia». Con la stessa brusca irruenza (e irriverenza), come al ritmo di un boogie, Parise riscatta Maugham, giudicato scrittore «di seconda classe» perché leggibile e popolare, paragonandolo a un marito – un marito è «uno che c’è sempre» –, e definisce “Le finestre di fronte” di Simenon (siamo nel 1985) un «capolavoro», dove «scene costumi e nomi e personaggi … paiono coperti della cipria bianca della pittura surrealista e metafisica».
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Goffredo Parise – Gli americani a Vicenza
Benché uscito dopo la sua morte, questo libro porta a compimento un progetto di Parise: radunare intorno a Gli americani a Vicenza una costellazione di altri racconti più o meno coevi. Racconti che potrebbero figurare sotto l’etichetta “I dintorni del Prete bello”, tanto ci appaiono prossimi a quello splendido romanzo popolato di personaggi festosamente eccentrici, ma in cui sopravvive anche qualcosa del Parise magico e surrealista del Ragazzo morto: sono infatti gli scherzi atroci che solo in provincia il destino gioca a chi gli viene a tiro, storie tragiche e grottesche che Parise, per usare le parole di Garboli, sa miracolosamente “far decollare dalla pagina”, con “mano senza peso” e “con il riso di eterno puer”.
Goffredo Parise – Sillabari. Audiolibro letto da Nanni Moretti
Capolavoro della letteratura italiana contemporanea, Sillabari è una collezione di racconti brevi e fulminanti sulle esperienze essenziali nell’esistenza umana. Per ogni lettera dell’alfabeto l’autore descrive sentimenti e stati d’animo, con una prosa lirica e semplice allo stesso tempo. I brani sono ideati e disposti in una sorta di glossario: dalla A di Amore alla S di Solitudine, passando per la B di Bambino e la C di Carezza.
Piccola sorpresa estemporanea, la trovate nell’apposita cartella Audiolibri.
Goffredo Parise – Il ragazzo morto e le comete
Nel 1950 Goffredo Parise, allora ventenne e del tutto sconosciuto, propone all’editore Neri Pozza un temerario romanzo «lirico e cubista (cioè romantico)», irto di «fratture narrative, di tempo e luogo», sull’amicizia tra due ragazzi. Come se non bastasse, rifiuta qualsiasi intervento: «solo così come è attualmente mi pare e lo sento quale parte di me stesso» proclama sfrontato. L’editore capitola. Il ragazzo morto e le comete esce nel 1951 in una tiratura di mille copie. L’insuccesso è totale. Le cose, del resto, non potevano andare diversamente. Scritto da un diciottenne «con il sentimento con cui, a quell’età, si scrivono poesie», e con l’esplosiva urgenza di chi «vede la vita a batticuore», Il ragazzo morto e le comete nulla ha da spartire con la letteratura allora dominante. «Siamo di fronte» ha detto anni dopo Montale «a una sostanza poetica che ribolle e rifiuta di assestarsi entro schemi definibili». E anche oggi, rileggendolo, è difficile sottrarsi all’impressione di aprire una scatola a sorpresa da cui prorompono figure sbalorditive, incantevoli e dolenti: Antoine, che con una parrucca bianca e una redingote di raso azzurro vola in pallone; Squerloz, il costruttore di barche che vive in cantina con un barbagianni, una civetta e un topo bianco; Edera, che tutti credono una ragazza bionda qualsiasi mentre in lei «c’è molto di più e che non si può dire perché è mistero»; Leopolda e Massimino, coi loro occhi di vetro, la pelle di stracci e un corteo di infinite, orribili malattie. Sono gli esseri che popolano il mondo del ragazzo di quindici anni e dell’inseparabile amico Fiore, che non si rassegna alla sua morte e continua a cercarlo. Un mondo inconcepibile e necessario, «al tempo dimenticato del tramonto e della fine dell’Occidente». O anche, per usare le parole di Parise, «una cineteca personale di volti, immagini e sensazioni» – che si installa nella nostra mente per non uscirne più.
Goffredo Parise – Dobbiamo disobbedire
Goffredo Parise – Il crematorio di Vienna [Epub – Mobi]
Goffredo Parise era stato a Vienna subito dopo la guerra e si era imbattuto per caso nel set del terzo uomo, il film di Carol Re ed interpretato da Orson Welles. Sia la città sia il film avevano a lungo soggiornato nella sua immaginazione e s’erano segretamente infiltrati nel suo primo libro come l’emblema della sua “forse inconscia operazione neoromantica”. Ecco che, quando, nel 1969, Parise darà alle stampe Il crematorio di Vienna non potrà non sentirlo come il punto d’arrivo di un percorso che aveva avuto il suo inizio, per l’appunto, con il ragazzo morto e le comete. Dalle macerie materiali del dopoguerra, raccontate con la veloce genialità fiabesca e stralunata di un ragazzo, Parise era giunto alle macerie morali di un mondo sempre meno umano e sempre più meccanizzato. Ecco dunque la scelta di una prosa cospicuamente analitica, bisturi stilistico e conoscitivo capace di affondare nei più segreti anfratti psichici dei rapporti tra i sessi, tema che Parise articolerà e varierà in quegli anni con felice ossessività espressiva. Il crematorio di Vienna non è una semplice raccolta di racconti; è piuttosto un insieme di trentatre prose narrative variamente intonate, tenute insieme da una evidente serialità; una serialità in parte simile ma per molti aspetti opposta a quella che darà vita ai Sillabari. Tra i libri di Parise, è quello che ha avuto una più lunga ed esitante gestazione, precedente, coeva e successiva alla stesura e pubblicazione de Il padrone (1965). E vista la contiguità tematica, sarebbe facile considerare queste prose narrative semplicemente come i dintorni del romanzo, un po’ materiali preparatori, un po’ puntualizzazioni posteriori; sarebbe facile, ma così è soltanto parzialmente. Lo è probabilmente nella prima parte, quella più spiccatamente “aziendale”; lo è meno nella parte finale, dove prevale uno humour nero rabbioso e quasi frernetico e il libro gira come un carosello da incubo.
Goffredo Parise – New York [Epub – Mobi]
Parise, dopo un viaggio in America, decretò che il suo odore gli ricordava quello della miseria: la peggiore delle miserie, perché “non è miseria umana, biologica, naturale, ma è miseria disumana, chimica, vecchia senza essere antica, miseria morale, schiavitù delle schiavitù”. Quattorci anni più tardi sentì il bisogno di ritornarci e si fermò esclusivamente a New York per qualche mese.
Goffredo Parise – Cara Cina [Epub – Mobi]
Per Goffredo Parise, la Cina è un poema composto da “molti, quasi infiniti versi”. Quando ci si prova a leggerli, questi versi, si fa un po’ di fatica, anche perché, a prima vista, sembrano tutti simili e si può essere presi dalla noia. Ma, se al posto della “chiara, limpida, matematica e apparentemente esatta ragione” ci si affida a “due strumenti apparentementi ambigui e oscuri come la discrezione e l’intuito”, ecco che la noia scompare e si scopre che i cinesi sono un popolo che possiede naturalmente quella qualità che si può conquistare, e con grande spreco di energie, soltanto storicamente. Questa qualità è lo stile”. In Cara Cina, primo dei suoi libri di viaggio, Parise ausculta lo stile dei cinesi, non solo nei suoi aspetti più espliciti, come la pratica della calligrafia e quella della cucina, ma soprattutto in molti dettagli acciuffati con la forza di un intuito sempre vivo. Parise è un viaggiatore che ha scelto di essere indigente: nel suo bagaglio ci sono esclusivamente “gli occhi per vedere, il cervello per riflettere, il caso e infine la propria persona, con quanto possibile di lampante e di oscuro”. Da Canton a Hong Kong, fermandosi a Pechino e a Shangai, più che sui luoghi fisici, il reporter si sofferma sulle persone. Ne ricava molti dialoghi che costituiscono lo scheletro di questo libro magro. Sono davvero memorabili sia l’incontro in un ospedale tradizionale con una dottoressa che pratica l’agopuntura da persona più bella che mi sia capitato di vedere da quando sono in Cina”), sia la visita a una scuola, nel corso della quale sperimenta la consistenza corporea dei fanatismo, impersonato dal direttore (“E’ la prima volta nella mia vita che vedo il fanatismo politico: è ripugnante e pietoso al tempo stesso, ma fa paura”). in entrambi e opposti casi, la flessibilità e la leggerezza degli strumenti conoscitivi di Parise rendono possibile la difficile arte della conoscenza.
Goffredo Parise – Atti impuri [Epub – Mobi]
In una cittadina di provincia il giovane Marcello conduce una vita che è piuttosto un trasognamento in cui il mistico e l’infantile si mescolano in modo inestricabile e curioso. Marcello ha più di trent’anni, è sposato, ma tutto in lui conserva ancora il segreto di un’adolescenza pigra e stupefatta: la sua stessa fede religiosa assomiglia troppo all’infatuazione devota di un ragazzo ombroso; e il suo accostarsi ogni mattina alla Comunione ha la tinta di un’ingordigia carnale. Ma quando Marcello si imbatte per caso in una donna inquietante, la Ciriaci, si accende in lui una passione esclusiva, che assorbe tutte le altre; una passione che non è tanto del cuore o dei sensi, quanto la forma di una avidità totale: una deformazione mostruosa dell’appetito mistico, al punto che l’amata finisce per apparirgli un’incarnazione divina. Atti impuri (apparso per la prima volta nel 1958 con il titolo Amore e fervore e ora presentato in una nuova stesura) conclude l’ideale trilogia iniziata da Parise con Il prete bello (1954) e proseguita con Il fidanzamento (1956). Il libro offre un ritratto sottilmente grottesco, giocato tra il lugubre e il comico, della bigotteria italiana; ma sotto l’irrisione beffarda che traspare dalle sue pagine, acquista rilievo la volontà di Parise di analizzare la putrefazione educativo-sociale di un certo sottomondo cattolico.
Goffredo Parise – Sillabari [Pdf – Doc – Epub]
Un giorno, sul finire degli anni Sessanta, Parise vede nella piazza sotto casa un bambino con in mano un sillabario. Gli si avvicina e legge: «L’erba è verde». Sono tempi politicizzati, in cui si fa spesso ricorso a parole «difficili», e quella pagina limpida e colorata acquista il significato di un monito, un richiamo all’essenzialità della vita e della poesia: «Gli uomini d’oggi secondo me hanno più bisogno di sentimenti che di ideologie». Nasce così l’idea di una serie di brevi racconti (o romanzi in miniatura o poesie in prosa, difficile dirlo), dedicati a sentimenti umani essenziali, che disposti in ordine alfabetico compongano una sorta di dizionario. I primi, da Amore a Famiglia, escono sul «Corriere della Sera» fra il 1971 e il 1972, e a tutti è subito chiaro che mai la scrittura di Parise è stata così felice, quasi fosse scaturita da quella condizione di armonia, di energia che lo scrittore aveva sempre cercato: «una specie di limbo, di lieve e soffusa esaltazione, in cui nel suo complesso ti piace la vita e ne hai al tempo stesso nostalgia». Una seconda serie, da Felicità a Solitudine, esce fra il 1973 e il 1980, e nel 1984 i due Sillabari vengono riuniti in un unico volume. Rileggendoli a distanza di vent’anni, scopriamo, non senza stupore, che il tempo nulla ha tolto a quei racconti tenacemente controcorrente, frutto di una fulminante concentrazione, o meglio riduzione agli elementi primi, della realtà: ci appaiono nitidi, assoluti, chiusi in una nervosa, brusca perfezione come figure scontornate, eppure capaci di evocare, al pari di un sillabario, un intero mondo perduto. Come ha scritto Cesare Garboli, nei Sillabari Parise «distilla la pietra filosofale del raccontare. Ma non racconta, fa qualcosa di più. Invoglia a pensare che il mondo sia raccontabile, e che la sua raccontabilità sia una meraviglia da scrutare attraverso un foro minuscolo».