Se c’è oggi un’esperienza condivisa è un senso di impotenza, di mancata presa sugli eventi, di inibizione alla prassi. Non si dubita più se la realtà esista o se sia costruita. La dominante è pratica: la realtà esiste e io ne avverto il peso, solo non riesco a farci nulla, col dubbio se non sia io a non esistere davvero, a non esistere in modo significativo. Che io ci sia o non ci sia è ininfluente. Altri agiscono, altri decidono. In un esperimento descritto da Henri Laborit ci sono tre gabbie e tre topi. Alle povere bestie vengono somministrate scosse elettriche. Il primo topo ha la possibilità di uscire dalla gabbia. Il secondo non può, ma gli è stato affiancato un suo simile su cui sfogare rabbia e frustrazione. Al terzo entrambe le alternative sono precluse. Sottoposti a controlli, i primi due non accusano sintomi. Al terzo vengono invece diagnosticate perdita di pelo, ipertensione arteriosa e ulcera gastrica: l’impossibilità di agire fa ammalare. L’esperimento ci turba perché ci rappresenta. Quali sintomi si manifestano in una società in cui l’azione politica è sentita come impossibile non perché proibita ma perché ineffettuale, senza esito, svuotata di ogni concretezza?Dicono i filosofi che l’umano è davvero tale solo se ha la facoltà di agire politicamente in mezzo agli altri, altrimenti è puro metabolismo, biologia, animalità. Si può discutere se questo sia vero. Non si può discutere su quanto sia diventato difficile verificarlo. Certo è che l’impossibilità di agire ci rende meno umani.
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Daniele Giglioli – Critica della vittima
La vittima è l’eroe del nostro tempo. Essere vittime dà prestigio, impone ascolto, promette e promuove riconoscimento, attiva un potente generatore di identità, diritto, autostima. Immunizza da ogni critica, garantisce innocenza al di là di ogni ragionevole dubbio. Come potrebbe la vittima essere colpevole, e anzi responsabile di qualcosa? Non ha fatto, le è stato fatto. Non agisce, patisce. Nella vittima si articolano mancanza e rivendicazione, debolezza e pretesa, desiderio di avere e desiderio di essere. Non siamo ciò che facciamo, ma ciò che abbiamo subito, ciò che possiamo perdere, ciò che ci hanno tolto. È tempo però di superare questo paradigma paralizzante, e ridisegnare i tracciati di una prassi, di un’azione del soggetto nel mondo: in credito di futuro, non di passato.