Pilniak è una delle figure più importanti e produttive della letteratura russa contemporanea. Nella sua opera, in cui una lettura attuale trova precorrimenti interessantissimi delle nuove tecniche narrative, la tematica è data dalla Russia dei primissimi anni della rivoluzione e della Nep; egli ne dà una radiografia di tale messa a fuoco da consentire scoperte e rivelazioni essenziali. È la realtà provinciale, immota da secoli, dove la vita conserva ancora i costumi e il ritmo del XVII secolo, che egli porta in questo libro, nel momento in cui viene sconvolta dagli eventi della rivoluzione. Troviamo nobili decaduti ed ora spodestati ed espropriati, folli e mistici pellegrini, mercanti di vecchio stampo e la muraglia indifferente e ottusa della borghesia minuta; anziché descritto, quest’ambiente umano storicamente reale è reso nello scompiglio in cui lo gettano quei drappelli di bolscevichi inviati dalla rivoluzione a trascinarlo nella storia moderna. Pilniak utilizza una pluralità di piani del tessuto narrativo, piegando i mezzi espressivi a uno sperimentalismo, ricorrendo a procedimenti intesi a registrare gli stati d’animo nei loro più inavvertibili spostamenti. L’anno nudo, del 1922, è la sua opera più caratteristica in questo senso, ed è un’indagine della Russia immersa nel gran crogiuolo, quale nessun altro scrittore ci ha dato così al vivo. La critica sovietica vide in lui un populista, un nazionalista slavofilo, un formalista; e in seguito la sua attività fu paralizzata. Egli resta però, come pur lo considerava Voronskij — il maggior critico marxista dell’epoca — lo scrittore più vero e provocante degli anni rivoluzionari, quello in cui si affaccia il discorso più intenso e articolato su di essi, il discorso artistico-intellettuale più significativo.
Boris Pilniak – L’anno nudo
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