Che Napoli sia un paradiso abitato da diavoli – cioè da uomini «di poco ingegno, maligni, cattivi e pieni di tradimento», come sosteneva il Piovano Arlotto – è un detto che dal Medioevo in poi ha goduto di vasta fortuna ma che è ormai, per comprensibili ragioni, caduto in disuso. E solo un uomo come Croce, in cui la profonda passione per Napoli e le sue memorie non è mai disgiunta da quella politica e civile, poteva arrischiarsi a riesumare e riproporre quell’antico biasimo – un biasimo che è bene considerare «verissimo per far che sia sempre men vero». Come un cicerone dalla sorprendente dottrina, affabile ma mai conciliante, Croce ci fa scoprire il volto segreto o scancellato della sua città: le vestigia della dominazione spagnola e le vite smodate, ora truci ora fastose, dei soldati che vi furono di stanza; gli scomparsi «seggi» e l’epopea dei lazzari, fanaticamente devoti a san Gennaro e al re; il vocio assordante dei venditori e l’incanto della vita negli anni di «feconda preparazione e semplice gaiezza» allorché a Santa Lucia, su lunghi banchi di legno protetti da lembi di vela, si mangiavano i frutti di mare e furoreggiava «Te voglio bene assaie, / e tu non pienze a me!…»; sorprendenti personaggi come don Dima Ciappa, «religiosissimo uomo» che fece uccidere il giovane Carlo Capecelatro, suo rivale in amore; e gemme come il palazzo Cellamare a Chiaia, dove si sedimentano secoli di storia, di vita artistica e letteraria.
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Benedetto Croce – Storie e leggende napoletane
Benedetto Croce – Etica e politica
In Etica e politica, la cui prima edizione è del 1931, Croce raccolse quattro suoi lavori già apparsi a stampa: Frammenti di etica (1922), Elementi di politica (1925), Aspetti morali della vita politica (1928) e Contributo alla critica di me stesso (1918). Tutti questi scritti – salvo il Contributo, che è un caso a sé – risalgono dunque al periodo successivo alla prima guerra mondiale, quando il pensiero di Croce sull’etica e sulla politica, anche sotto lo stimolo del fascismo, fu oggetto di una profonda riflessione. E alla chiarificazione di tali temi si accompagnava quella di problemi storici atrettanto fondamentali: il mutamento di ideali politici in Europa dopo il 1870, la libertà degli antichi e dei moderni, il concetto di borghesia.
Benedetto Croce – Storia d’Europa nel secolo decimonono
La libertà intesa come «religione», come «unione di una visione totale del mondo con la passione civile e morale»- teoria che è al centro di tutto il Croce storico – trovò il suo perfetto dispiegamento in questa Storia d’Europa, che rimane una delle opere strutturalmente più audaci di Croce. Dal magma della storia europea dell’Ottocento viene qui estratto, con prodigiosa capacità espositiva, una sorta di teorema della libertà, che ci permette di capire molte delle innervature segrete degli eventi nella grande età borghese. Oggi poi che l’Europa è costretta dalle cose stesse a riflettere sulla propria natura, più che mai sarà preziosa quest’opera che, già nel suo progetto, non volle perdersi nella moltitudine degli eventi ma catturare quella essenza dell’Europa su cui continuiamo a interrogarci.
Benedetto Croce – Storia d’Italia dal 1871 al 1915
Presentando questo lavoro, Croce scrisse che si trattava dello “schizzo di una storia dell’Italia dopo la conseguita unità di stato”, concepito come “tentativo di esporre gli avvenimenti nel loro nesso oggettivo e riportandoli alle loro fonti interiori”. Ma scoprire il nesso oggettivo in quei quarantacinque anni fra il 1871 e il 1915, significava coglierne la relazione con gli anni del Risorgimento e proiettare la storia italiana sulla scena dell’Europa moderna. Proprio perché coinvolge l’identità stessa della nazione italiana, quest’opera è forse la più discussa fra le grandi opere storiche del filosofo abruzzese, quella che ha esercitato la più vasta influenza sulla visione che generazioni di italiani si sono formati sulla propria storia.