Un giovanissimo Imperatore romano molto minore, con una famigliaccia molto romana piena di mamme e di debiti, scappa con tutta la troupe a Ostia per un weekend-con-delitto. Al mare si dànno spettacoli e si governa l’Impero, fra riti e orge e magie e catastrofi molto kitsch, in un thriller peplum-noir di favoriti e sacerdoti e precettori e senatori in preda alle più incresciose follies della Romanità classica e della Decadenza pecoreccia.
Composto nel fatale ’68 e pubblicato l’anno successivo, questo romanzo «a frammenti mobili» – un cabaret ’pop’ dell’Immaginazione e del Desiderio – colse a caldo il senso più autentico di quella celebre avventura giovanile: una décadence archetipica ed emblematica, vissuta a Roma con le ‘crudeltà’ e i ‘varietà’ delle migliori avanguardie storiche. Una sfrenata performance contro ogni oppressione e repressione razionalistica, politica, culturale, scientifica. Con autorevoli canzonette e fumetti e gags di Nietzsche, Jarry, Artaud, Adorno, Totò, sull’Antichità e l’Attualità. E in omaggio speciale a Flaubert, parecchi deplorevoli inventari e cataloghi di bêtise tipicamente italiana, e nostra contemporanea.
Ma chi sarà la vittima, poi? Dopo tanti straordinari equivoci e accidenti (anche lirici) lungo le strade, in villa, in spiaggia, a tavola e a letto, di giorno e di notte, il giovane imperatore-compagno (e savio teppista) diventa dio a sorpresa. Miracolando di prepotenza il Pontefice, nel Tempio-Supermarket più importante dell’Impero, con la collaborazione di Ubu Roi e Zarathustra. Che carriera!
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Alberto Arbasino – Marescialle e libertine
La grande musica del Novecento si presentava spesso agli amici come un complesso di regole senza gioco. Per gli spettatori debuttanti ‘sul campo’ nei lontani anni Cinquanta – fra i neorealismi e gli astrattismi, l’Epico e l’Assurdo, la Callas e l’Osiris e le ideologie minatorie e il culto del Progresso – le discusse novità ‘live’ nei festival erano “La carriera del libertino”, “Mosè e Aronne”, “L’angelo di fuoco”, “Capriccio”, “Guerra e pace”, “Una Lady Macbeth” di Mzensk, e un’abbondante produzione di lavori orchestrali o da camera. ‘Prime’ storiche e memorabili, alla Scala e alla Fenice e a Berlino e a Vienna, fra giudizi caotici ‘a caldo’ e tipici equivoci d’epoca: Stravinskij restauratore del rétro, Schönberg patrono dei carrieristi, Strauss birroso epigono, Prokofiev professionista di rappresentanza, Šostakovič epico alfiere di gloriosi caduti… E tutt’intorno – oltre ai più noti Berg, Weill, Bartók, Webern, Honegger, Hindemith, Britten, Milhaud, Poulenc, Janáček, gradatamente accolti – il silenzio dei cancellati. Perseguitati dalle varie intolleranze ideologiche, politiche, avanguardistiche, accademiche: Schreker, Křenek, Pfitzner, Korngold, Zemlinsky, Szymanowski, Schmidt, Schoeck, e altri emarginati da recuperare e intendere. Ma come e quando, in flashback o in performance, fra gli sbarramenti del tardo Novecento e le riabilitazioni del Postmoderno?
Come tutti i messaggi e i prodotti, ovviamente, anche le migliori o peggiori composizioni sono tenute a incontrare direttamente i propri destinatari e consumatori: un pubblico di utenti più o meno ‘connaisseurs’ che le fruisce o fraintende secondo le idee correnti nelle diverse epoche. Variano infatti le mode, i conformismi, i dissensi, fra pregiudizi perentori, ricezioni malintese, provoca- zioni e trasgressioni che mixano i ‘must’ e i ‘post’ col Kitsch e il Trash.
Attraverso i contesti e i gusti mutanti, però, si trasformano continuamente anche le figure e le ‘carriere’ dei Classici Moderni. E le verifiche discordi sui loro angeli e demoni, e i capricci, i libertini, le appassionate, le birbone… Allora, dopo mezzo secolo di eventi illustri e controversi vissuti direttamente dalla parte degli spettatori, un flâneur di varie arti come Alberto Arbasino si fa memorialista filarmonico di innumerevoli rappresentazioni e interpretazioni e personalità ormai piuttosto mitiche. Con parecchie curiosità e libertà romanzesche rispetto a diverse tradizioni e avanguardie anche dissipate o disperse.
Alberto Arbasino – Paesaggi italiani con zombi
Alberto Arbasino – Le Muse a Los Angeles
Alberto Arbasino – Lettere da Londra
A Londra, negli anni Cinquanta, non c’erano ancora mode giovani o minigonne o icone pop. Erano però disponibili, in città o in campagna, T.S. Eliot, E.M. Forster, Ivy Compton-Burnett, Harold Nicolson, i Sitwell, W.H. Auden, Angus Wilson, William Golding, Christopher Isherwood, Stephen Spender, Kingsley Martin, Kingsley Amis, il terribile Dr Leavis… E a teatro, ogni sera, c’era una bella scelta fra John Gielgud e Edith Evans e Ralph Richardson e Peggy Ashcroft e Laurence Olivier e Margaret Rutherford e Alec Guinness e Bea Lillie o Vivien Leigh… Settecento, o anni Trenta? Avanguardie di protesta, o ribalderie vittoriane? Forte impegno, o vaudeville di travestiti? Beethoven diretto da Klemperer, Galina Ulanova coi balletti del Bolshoi, o novità di Benjamin Britten e Samuel Beckett?
Il giovane Arbasino schedava le politiche del dopoguerra al Royal Institute of International Affairs. E intanto osservava il funzionamento delle tipiche istituzioni, poi definite anche «prestigiose» o «mitiche»: il «Times», il «New Statesman», il Labour Party, le Corti di Giustizia, le bande dei teddy boys, la destra liberale e la sinistra accademica, l’underground alto e basso, il sense of humour e l’understatement elegante di critici esemplari come Cyril Connolly e Kenneth Tynan, Peter Heyworth e John Pope-Hennessy. A Londra si potevano fare diverse scoperte, e parecchi mostri sacri aprivano indulgenti le loro tane. Da Roma, Mario Pannunzio chiedeva delle «Lettere inglesi» da pubblicare sul «Mondo». Nacquero così queste corrispondenze confidenziali, che il tempo ha trasformato in manualetto ‘live’ di grandi autori del Novecento.
Alberto Arbasino – Passeggiando tra i draghi addormentati
Quando si riaprono certi paesi ‘mitici’, dopo decenni di stragi ideologiche, forse non sarà più permesso fare ancora i decadentismi naïfs o i maoismi all’italiana. L’approccio – finalmente – ai leggendari templi e ai favolosi monumenti spesso si svolgerà camminando letteralmente sui teschi delle infinite vittime delle ideologie e delle utopie. E solo qualche vecchio fatuo e sciocco potrebbe fare ancora dell’estetismo gregario o dell’engagement subalterno fra le tragedie e sulle macerie.
Ora, dopo la Cambogia (subito raccontata in “Mekong”), anche la Birmania ha riaperto destinazioni avventurose e a lungo inaccessibili: Rangoon, Mandalay, i santuari dorati, i mille templi di Pagan. E l’Iran socchiude spiragli contraddittori sui suoi luoghi fantastici: Persepolis, Isfahan, Shiraz… Ma intanto anche l’America Centrale, tradizionale e instancabile produttrice di insurrezioni e guerriglie grandi e piccole, continua a presentare le sue eccitanti rivoluzioni, sempre così suggestive: una vecchia finisce in Guatemala, una nuova è alla moda in Chiapas. Mentre i segnali di pericolo turistico si sviluppano magari nelle destinazioni storiche di successo: Sanaa, Palmira, Petra.
E perché non un giro tra i draghi Fafner assopiti in Sicilia o in Argentina, dopo tutto? Assolutamente non un’ennesima indagine sociopolitica o moralistica sui noti mali e guai della sventurata isola, bensì un rinnovo dei viaggi culturali compiuti da Bernard Berenson un secolo fa. E una rivisitazione della Buenos Aires postmoderna, cioè dopo Borges.
I testi di viaggio qui raccolti traggono origine da reportages apparsi su «la Repubblica».
Alberto Arbasino – Mekong
Alberto Arbasino – Ritratti e immagini
Diffidare dei cartelli segnaletici: con Arbasino e` la prima regola da osservare, perche´ ciascuno di questi ritratti ‘si morula’ – direbbe Gadda – in infiniti altri ritratti, in altre imprevedibili storie. E` quel che succede, alla lettera A, con Harold Acton, che fa risorgere la Firenze soavemente cosmopolita tra le due guerre, un crocevia dove si muovono Bernard Berenson, Vernon Lee, Aldous Huxley, D.H. Lawrence, Ronald Firbank, Norman Douglas, Edith Sitwell. O, alla lettera N, con il figlio di Vita Sackville-West e Harold Nicolson, Nigel: qui verremo addirittura inghiottiti da un dramma – qualcosa di simile a «un delirio dei Fratelli Marx sull’Orient Express» – che sconvolge quattro coniugi, otto suoceri e «parecchie zie cattive», con innumerevoli traversate della Manica, «nelle due direzioni, e sempre con un tempo orribile». Ritratti doppi, insomma, e molto di piu`: scintillanti ‘trascritture’ di opere musicali e teatrali (non perdetevi il “Barbablù” di Be´la Barto´k, «un impotente che si diletta nel collezionismo di ninnoli Sadik e soprammobili Diabolik», ne´ la “Carmen” di Brook, dove Escamillo e` un barbiere lezioso con pronuncia «gotico-pizzaiola»), e di mirabolanti luoghi, come le residenze di Ludwig II di Baviera, che neppure un «tycoon americano degli anni favolosi» avrebbe saputo concepire. Senza contare gli ormai ‘mitici’ ritratti dal vivo (la cinese Ding Ling, ad esempio, a casa della quale c’e` un’aria «come fra Pupella Maggio e Paola Borboni»), le conversazioni ‘a` ba^tons rompus’, gli affondi critici che valgono un intero libro e le scorribande fra i ‘santini’ di una letteratura ahime` sfornita «di eros e di esprit e di senso della battuta»: Manzoni, Parini, Pascoli – e De Amicis, che ritroviamo a Costantinopoli, in un bagno turco, torturato da due mulatti: «Cioe`, praticamente, ecco Al Pacino nel film “Cruising”».
Alberto Arbasino – Fratelli d’Italia
Un romanzo smisurato e scatenato, che racconta l’Italia di ieri e di oggi con l’insolenza di un autore che ha saputo infondere nella lingua e nella letteratura italiana una leggerezza e una mobilità senza precedenti.
«Siamo qui da un’ora all’aeroporto senza colazione aspettando due amici di Antonio che arrivano adesso in ritardo da Parigi; si mangerà un pesce se si farà in tempo sul molo, in un bel posto degli anni scorsi che forse però quest’anno già non va più tanto bene; e non abbiamo ancora avuto un momento per parlare della nostra estate, che ormai è qui».
«Ogni libro nuovo, veramente moderno, di quest’epoca (di quale epoca?) sarà così profondamente ambiguo, cioè polimorfo, così com’è ambigua e polimorfa l’epoca, da raccontare in realtà alcune storie sempre fingendo di raccontarne tutt’altre, anche molto diverse?».
Fratelli d’Italia è stato pubblicato per la prima volta nel 1963.
Alberto Arbasino – Ritratti italiani
“Dalla A di Gianni Agnelli alla Z di Federico Zeri, alcune decine di conversazioni, interviste, dialoghi, e magari anche chiacchiere, con illustri contemporanei quali Roberto Longhi, Aldo Palazzeschi, Giovanni Comisso, Mario Soldati, Cesare Brandi, Federico Fellini, Luciano Anceschi, Luchino Visconti, Alberto Moravia. E notevolissimi coetanei, o quasi – da Calvino e Testori e Pasolini, a Parise e Manganelli e Berio -, coi quali ci si ripromettevano lunghe polemiche anziane davanti a un bel camino acceso, con vino rosso e castagne e magari cognac. Invece, la storia girò diversamente. E così, oltre ad alcuni coetanei vitali e viventi, eccoci qui con care e bizzarre memorie evidentemente prenatali: Dossi, Tessa, Puccini, D’Annunzio, e la mia concittadina vogherese Carolina Invernizio, nonna o bisnonna di mezza Italia letteraria.” (Alberto Arbasino)