Con sottile ironia e gusto della provocazione Hirschman rilegge due secoli di storia occidentale — dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo nella prima fase della Rivoluzione francese alle lotte per l’allargamento del suffragio nel corso dell’800 sino alla creazione del welfare state di questo secolo — incuriosito dai meccanismi retorici che hanno sempre accompagnato lo scontro tra spinte riformatrici e contro spinte reazionarie. L’autore individua tre tipi di argomentazioni invariabilmente usati dal pensiero conservatore nella lotta politica: la tesi della perversità, o degli effetti perversi che ogni cambiamento può scatenare, generando risultati opposti a quelli desiderati; la tesi della futilità, ossia del vano tentativo di introdurre un reale cambiamento nell’ordine costituito; la tesi della messa a repentaglio, ovvero degli alti costi insiti in ogni tentativo di riforma che mettono in pericolo le conquiste precedenti. Gli esempi che Hirschman cita per illustrare questo artificioso dibattito sono tanti e illustri: da Burke a de Maistre, da Tocqueville a Spencer, da Pareto a Le Bon, Stigler, Lampedusa… Ma anche la retorica progressista, controparte di quella reazionaria, non sembra immune da analoghi vizi retorici. Come sottrarsi, allora, a questa retorica dell’intransigenza che non consente il dialogo, né il confronto delle idee? Hirschman, da parte sua, ci prova, e dedica il capitolo conclusivo del volume a come «non» si deve argomentare una tesi in democrazia
Grazie a Eduardo58 per la scansione di partenza.