Con La fatica di essere se stessi Ehrenberg aveva cercato – incrociando le problematiche del sapere medico con l’analisi degli stili di vita – di dare una risposta al fatto che la depressione si sia imposta negli ultimi anni come il principale disturbo della nostra interiorità. Essa ha persino cambiato di significato: non è piú dolore morale, perdita della gioia di vivere, ma una patologia dell’azione, il sentimento di non riuscire a essere all’altezza, una insufficienza rispetto le aspettative degli altri (in famiglia, con gli amici, nel lavoro). Con La società del disagio Eherenberg tenta di dare una sistemazione organica e complessiva al problema dei rapporti tra saperi medico-psichiatrici e società, nonché di delineare una teoria complessiva del legame sociale. Tutto questo in relazione ad una società che è diventata quella della decisione, dell’autonomia e delle azioni individuali, nella quale si intrecciano questioni psico(pato)logiche e questioni sociali. Dai quadri sintomatologici è sostanzialmente sparita la radicale discontinuità tra il normale e il patologico: è emerso un mondo del «malessere», del «disagio generalizzato», delle «carenze dell’io». La nostra società, insomma, ha adottato un nuovo linguaggio, quello della vulnerabilità individuale, attraverso il quale vengono ormai decifrate tutte le forme dell’inquietudine e del disagio sociale: sempre piú problemi individuali e collettivi vengono definiti in termini di sofferenza psichica (a sua volta ricondotta a disfunzioni neuro-biochimiche) e le soluzioni che vengono avanzate lo sono in termini di salute mentale, ovvero di disfunzionamenti da correggere, metabolismi da ripristinare, insufficienze da colmare, difettosità da riparare, che una medicina del benessere e della qualità della vita si candida ad assicurare attraverso pratiche riabilitative e di neurostimolazione.
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