La religione dei Semiti della Mesopotamia si fondò su una remotissima tradizione sumerica, secondo la quale il Divino era disseminato in numerose divinità antropomorfe che esercitavano la loro azione nell’ambito dei fenomeni naturali e il cui culto era di carattere strettamente locale. Venuti a contatto con essa, i Semiti non sentirono il bisogno di modificarne basilarmente le forme, ma le impregnarono di uno spirito nuovo ispirato a una profonda religiosità. Consci della grandezza del Divino, del suo potere assoluto e della sua attiva presenza nel mondo, essi arricchirono le precedenti concezioni religiose e, sul modello dell’amministrazione reale, organizzarono il loro pantheon secondo un ordine gerarchico che tendeva alla monarchia. In tal modo, soli fra tutti i popoli dell’antichità e assai prima dei Greci (che per questo aspetto dipesero forse da loro), edificarono un coerente sistema politeistico.
D’altra parte, l’assiduo studio del mondo e soprattutto degli astri, con la rivelazione di un ordine dell’universo di una mirabile perfezione, li rese capaci di trasferire questi nuoti dati nella sfera religiosa, cosicché essi giunsero a concepire il Divino in termini di trascendenza e il suo dominio sul mondo sotto l’aspetto di una azione eterna e universale, fondando in tal modo una vera religione scientifica nella quale la fede si arricchiva delle scoperte della ragione e la cui importanza è attestata dall’influsso esercitato sulla religione e sul pensiero ellenistico e, attraverso quest’ultimo, sulla nostra stessa civiltà.
Il tema affrontato dall’autore di questo libro è uno fra i più ardui e suggestivi che possano presentarsi agli studiosi delle religioni orientali: Jean Bottéro, notissimo specialista di assiriologia, ha saputo trattarlo con la maestria che è frutto solo della genuina competenza e della autentica passione scientifica, in una forma accessibile anche al comune lettore, che troverà in queste pagine la risposta a molti problemi che si affacciano ad ogni spirito desideroso di approfondire storicamente il cammino dell’umanità in cerca del Divino
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Donald Sassoon – Sintomi morbosi: Nella nostra storia di ieri i segnali della crisi di oggi
«La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati.» Così scriveva Antonio Gramsci oltre ottant’anni fa nella prigione fascista di Turi. Muovendo da questa intuizione, lo storico Donald Sassoon, profondo conoscitore del nostro paese, si chiede quali sono oggi i segnali della crisi che sembra stia condannando al declino la civiltà occidentale. Dalla proliferazione di movimenti nazionalisti e sovranisti alle sempre più frequenti manifestazioni razziste e xenofobe, dalla sfiducia nei partiti tradizionali all’aumento delle diseguaglianze, l’impressione è di trovarsi in un cruciale momento di passaggio, in quell’interregno fra il tramonto del vecchio e l’affermazione del nuovo in cui si corrono i rischi maggiori di rapide regressioni. Al centro della sua analisi, la crisi che sta attraversando il Vecchio Continente: le probabilità di una sua implosione, ma anche le motivazioni e le ragioni della sempre più evidente disaffezione nei confronti di un’Europa unita che subisce attacchi da ogni fronte e viene troppo debolmente difesa da chi dovrebbe rappresentarla. Da «ebreo nato in Egitto con passaporto britannico, con studi in Francia, Italia, Gran Bretagna e Stati Uniti», Donald Sassoon è in una posizione peivilegiata per interpretare senza pregiudizi la moltitudine di umori, sensibilità, scelte di vari paesi, e ci offre la lezione di un grande storico capace di decifrare la complessità dell’oggi sciogliendo con maestria gli intricati fili provenienti dal nostro passato.
Eugenio Mazzarella – Il mondo nell’abisso. Heidegger e i Quaderni neri
Anatolij Kuznecov – Babij Jar
Franco Moretti – Un paese lontano. Cinque lezioni sulla cultura americana
Cinque saggi brevi e compatti, che individuano alcuni concetti fondamentali della modernità, per riflettere criticamente sullo sviluppo planetario dell’egemonia culturale americana, accostando Whitman a Baudelaire, il western al film noir, Hemingway a Joyce, Miller a Brecht, oppure Vermeer a Hopper e Rembrandt a Warhol. Riflessioni critiche e puntuali analisi stilistiche evidenziano dissonanze, antitesi e conflitti, e compongono una sorta di breviario di educazione estetica, utile a illustrare le diverse realtà culturali e le metamorfosi delle forme artistiche all’interno di distinti contesti sociali, tra Vecchio e Nuovo mondo. Con una missione: risvegliare in ogni lettore il «senso di meraviglia per quel che la letteratura sa fare», dimostrando soprattutto che «vale la pena studiare la letteratura, e non solo leggerla per piacere».