G.V. Plechanov – Contributi alla storia del materialismo

I «Contributi alla storia del materialismo» seguono di un anno il noto «Saggio sullo sviluppo della concezione monistica della storia», del quale riprendono diversi spunti. Poiché, tuttavia, qui Plechanov non aveva potuto dedicare al materialismo francese del Settecento tutto lo spazio che avrebbe desiderato, credette opportuno ritornare su quelli che gli sembravano i suoi rappresentanti più avanzati e al contempo, ma appunto perciò, meno compresi: Holbach ed Helvétius.

L’interesse che i due esponenti del pensiero rivoluzionario borghese suscitano nel primo teorico marxista russo e che, a distanza di quasi un secolo, non possono non suscitare in noi, non è d’ordine meramente culturale: nei loro scritti, infatti, il materialismo «classico», proprio perché tocca il vertice delle sue potenzialità, rivela tutta la gamma delle sue contraddizioni e le trasmette insolute all’Ottocento. Ed è al banco di prova del tentativo di superare queste contraddizioni che naufraga l’idealismo hegeliano e si afferma in tutta la sua potenza sovvertitrice il materialismo dialettico di Marx ed Engels, erede e insieme liquidatore di entrambi.

La ricostruzione di questo processo, che non si svolge nel puro mondo delle idee ma riecheggia ad ogni passo l’esplodere dell’irriducibile antagonismo fra le due classi fondamentali della società moderna, è appunto il tema dominante — ed attualissimo — del presente volume.

Kim Il Sung – L’idea del djoutché

L’ideologia del Djoutché si basa sul principio filosofico secondo il quale l’uomo è signore di tutto e di tutto decide. Spiegando in modo scientifico la posizione e il ruolo che all’uomo spettano nel mondo, l’ideologia del Djoutché fornisce la più esatta concezione della natura e della società e, insieme, un’arma potente per far conoscere e per trasformare il mondo. Illumina la via logica dello sviluppo sociale, incoraggia e sprona con forza le masse popolari lavoratrici alla lotta rivoluzionaria per una vita indipendente e creativa.  Kim Il Sung

Luigi Bobbio – Storia di Lotta Continua

I lettori che si accosteranno a questo libro essenzialmente sull’onda del “caso Sofri” (ma che è anche il caso Bompressi, Marino e Pietrostefani), non vi troveranno la chiave dell’enigma (l’assassino del commissario Calabresi apparteneva alla fila di Lotta continua?), ma potranno comprenderne meglio lo sfondo storico, politico e sociale, ossia il suo substrato “non criminale”. Ma questo libro non era nato per fornire una tesi difensiva, e mi sembra un po’ avvilente piegarlo a questo scopo. Mi piacerebbe invece che gli eventuali lettori non si fermassero soltanto alle poche pagine che si riferiscono agli episodi attualmente sotto accusa, ma provassero a seguire il singolare itinerario di questo gruppo ribelle: dalle sue radici nel Sessantotto (ed anche prima), e poi attraverso l’estremismo dei primi anni Settanta, la contraddittoria riscoperta della politica a metà del decennio ed il tracollo finale dopo le elezioni del 1976. È un piccolo squarcio che si apre sui turbolenti anni Settanta, che ancora oggi, alla fine di questo decennio, appaiono così oscuri, rimossi, mal conosciuti.

AA.VV – Elogio della menzogna

«accusare. Se l’autorità di chi accusa potesse rendere di colpa sospetta l’innocenza, sarebbono vane le speranze e miserabili le condizioni degli uomini. Guai al mondo, se i grandi potessero autenticare le calunnie solamente col pretesto doverle proferite. Non vi sarebbe bontà che non fosse posta in ombra e costituita rea al tribunale della morte.

« Chi vuol accusare altri, deve egli prima esser puro ed innocente. Niuna ragione consente che questo chieda conto della vita di quello, s’egli non lo può dar della propria. Chi ha traviato dal diritto della coscienza, non è abile a ridurvi altri. Il poco fondamento dell’accusa, s’argomenta dal poco merito della persona che accusa.

« Accusar altrui, nelle sue disgrazie, è cosa da uomo rozzo ed ignorante. Accusar se stesso è cosa da chi comincia a farsi savio. Non accusar altrui, né se stesso, è cosa da savio e da perfetto ».

Hans Magnus Enzensberger – Politica e crimine. Nove saggi

(…) Preferirei che i rapporti fra Politica e crimine avessero perso attualità e le mie riflessioni di allora fossero invecchiate. Purtroppo non è così. Chi si ricorda ancora, oggi, di Rafael Trujillo? Eppure i «padri della patria» di quel tipo non sono scomparsi. Si sono moltiplicati. Per ogni Marcos, per ogni Sukarno che sparisce, si trova un degno successore. La modernizzazione della mafia e della camorra procede di pari passo con lo sviluppo del suo presupposto, la crescita del mercato mondiale. I disertori non sono più condannati a morte secondo una minuziosa procedura giuridica come avvenne al soldato Slovik: sono semplicemente eliminati, come nella guerra del Golfo, con i gas tossici. Quando morì la povera Wilma Montesi, non si parlava ancora di Moro e di Sofri, di Gelli e di Craxi, eppure la logica surreale dei servizi segreti e della giustizia era già ben visibile, solo che si avessero occhi per vederla (…)Mi dispiace molto che questo libro non sia diventato superfluo.

H.M. Enzensberger (dal post-scriptum, giugno 1998)

Hans Magnus Enzensberger – Gli elisir della scienza

Sin dai suoi esordi letterari nei primi anni Sessanta, Hans Magnus Enzensberger ha rivolto una particolare attenzione ai temi in senso più ampio scientifici e alle biografie di personaggi noti e meno noti della storia, da Alexander von Humboldt a Giovanni de’ Dondi (a Padova costruì l’astrario), da Darwin a Ugo Cerletti (al quale dobbiamo la scoperta dell’elettroshock). Ne sono testimonianza famose raccolte come Mausoleum (che reca il significativo sottotitolo Trentasette ballate tratte dalla storia del progresso, 1979), La fine del Titanic (1990) e, in epoca più recente, un libro ormai leggendario come Il mago dei numeri 1997). Scienza e poesia non solo affondano entrambe le loro antiche radici nel mito, ma il loro re-incontrarsi oggi appare più necessario che mai: troppo grande e pericoloso è lo iato che separa la riflessione etico-politica da una comunità scientifica che tende a considerare alla stregua di fastidiosi intrusi chiunque ponga critici interrogativi sul suo operato. Volgere uno sguardo attento alla poesia della matematica, della fisica, dell’astronomia – non era stato lo stesso Kant a postulare la necessità di accostare il «cielo stellato» e la «legge morale»? – può tuttavia essere anche un esercizio mentale utile e piacevole per chiunque. Per Gli elisir della scienza, un percorso dai toni ora ironici, ora ammonitori, ora affettuosi, ora autenticamente accorati. Hans Magnus Enzensberger ha assemblato poesie e interventi in prosa, molti dei quali inediti in Italia. L’esito è un puzzle che offre scorci davvero sorprendenti e che solo un poeta e un intellettuale così fuori dagli schemi come lui poteva offrirci.

Hans Magnus Enzensberger – Panopticon. Venti saggi da leggere in dieci minuti

Panopticon: Venti saggi da leggere in dieci minuti (Vele) di [Enzensberger, Hans Magnus]

Proponendo nel medesimo volume le radici sia della filologia che dell’informazione sessuale, cosí come le inevitabili implicazioni dei privilegi e le analogie tra scienza e religione, l’autore non si limita a sfiorare superficialmente diversi aspetti dell’attualità, ma entra nel vivo per affrontarli con sagacia. L’intenzione è costantemente supportata da citazioni di esperti, da lui definiti «i miei santi protettori e garanti». Enzensberger tiene a sottolineare che il titolo trae ispirazione dal Panoptikum realizzato dal comico tedesco Karl Valentin a metà degli anni Trenta, un insolito gabinetto degli orrori e delle curiosità cui avvicinarsi senza porsi troppe domande. È proprio questo l’atteggiamento richiesto al lettore nell’accostarsi all’opera.

Hans Magnus Enzensberger – Mausoleum. Trentasette ballate tratte dalla storia del progresso

Mausoleum: Trentasette ballate tratte dalla storia del progresso (Collezione di poesia Vol. 444) di [Enzensberger, Hans Magnus]

Enzensberger è autore poliedrico: saggista, pamphlettista, romanziere, scrittore per l’infanzia, memorialista. Però forse i suoi libri entrati piú vigorosamente fra i classici del Novecento sono quelli di poesia. E Mausoleum, uscito in Germania nel 1975, è una pietra miliare del suo itinerario poetico. È un libro costituito da trentasette ballate dedicate ad altrettanti personaggi che hanno fatto, come dice il sottotitolo, «la storia del progresso »: da Giovanni de’ Dondi che nel Trecento costruí l’orologio di Padova a un altro italiano, Ugo Cerletti, che sei secoli dopo inventò l’elettroshock. In mezzo: Campanella, Leibnitz, Linneo e tanti altri pensatori e scienziati.
Se già Leopardi diffidava delle «magnifiche sorti e progressive» del mondo, Enzensberger ha uno sguardo ancora piú perplesso sulla modernità. Per lui l’aspirazione al dominio totale della natura ha creato un modello destinato a portare l’umanità al disastro. E a volte ha forgiato un tipo di scienziato squilibrato, sadico, dai deliri onnipotenti, come quello della ballata dedicata a Lazzaro Spallanzani che si eccitava compiendo mostruosità sugli animali «a fini di studio».

Hans Magnus Enzensberger – Tumulto

Non si può certo dire che nel corso della sua esistenza Hans Magnus Enzensberger si sia tirato indietro, abbia evitato, spaziando da una forma letteraria all’altra, di dire la sua su una straordinaria varietà di temi: dalla letteratura alla politica, dalla storia alla sociologia. Senza dimenticare la matematica. Su un argomento era però stato molto prudente, per non dire latitante: sugli anni Sessanta e sul ruolo da lui avuto in quella fase così ricca di suggestioni e stimoli. Fortunamente però esistono le cantine. Nella sua, Enzensberger ha infatti ritrovato – del tutto casualmente, afferma – una serie di diari e appunti redatti a partire dal 1963 quando una inaspettata e un po’ misteriosa lettera proveniente dall’Italia lo invitava a partecipare, con la crème dell’intellighenzia occidentale-orientale (fra cui Sartre e De Beauvoir, Ungaretti, Golding, Richter, Evtusenko), a un congresso di scrittori a Leningrado: in piena Guerra fredda, è vero, ma anche nella fase di apertura dell’Unione Sovietica, allora guidata da Nikita Chruscev che (come ci raccontano le note diaristiche) si rivelerà un padrone di casa pacioso e assai alla mano. A quel primo soggiorno, ne seguì un altro, molto più lungo, tre anni dopo. E questo segnò l’inizio del Tumulto. Dapprima privato, con l’accendersi della passione per Marija Aleksandrovna Makarova, detta Masa, che sarà la protagonista di “un travolgente romanzo russo”…

Hans Magnus Enzensberger – Considerazioni del signor Zeta ovvero Briciole da lui lasciate cadere, e raccolte da chi lo stava ad ascoltare

Considerazioni del signor Zeta: ovvero Briciole da lui lasciate cadere, e raccolte da chi lo stava ad ascoltare (L'Arcipelago Einaudi Vol. 222) di [Enzensberger, Hans Magnus]

«Tutte le cose intelligenti sono già state pensate, bisogna solo ripensarle», ha scritto Goethe. In questo senso il libretto di Enzensberger si inserisce in una tradizione che da Epicuro conduce a Montaigne, Lichtenberg, Nietzsche, e infine a Brecht e Adorno. Le Considerazioni del signor Zeta non sono quindi una costruzione hegelianamente strutturata, ma pensieri «in libertà» che non intendono necessariamente presentarsi come originali e rivoluzionari, e nemmeno mascherare eventuali contraddizioni (coercizioni queste, dalle quali l’autore ha preso allegramente le distanze ormai da molti anni). Zeta è un signore grassottello, vestito in modo antiquato (porta una bombetta marrone!), abituato a una vita di agi (di nuovo Epicuro?), che ogni pomeriggio prende posto sulla panchina di un parco e coinvolge i passanti in allegre discussioni. Sul suo conto il pubblico, e con esso anche i curatori che si sono presi la briga di annotare quanto andava dicendo, ha opinioni discordanti: alcuni lo considerano un saggio, altri uno sputasentenze, una «persona poco seria», un clown, un polemico filosofo. Molti scuotono la testa e tirano via, alcuni si fermano. Per quanto differenziati siano i giudizi, è comunque indubbio che si tratta di un oratore fuori dagli schemi, che può dire cose che altri preferiscono tenere per sé, mettere in discussione pregiudizi e verità acquisite. Una sola volta lo abbandona la sua tranquillità, la sua pacatezza: quando uno studente di filosofia lo accusa di essere un aforista. Perché l’aforisma ha in sé un che di definito, di apodittico, qualità dalle quali il signor Zeta rifugge: le contraddizioni non lo turbano piú di tanto, l’esistenza umana ne è piena, e lui preferisce relativizzare e appunto contraddire (anche se stesso). E cosí, pomeriggio dopo pomeriggio, questo insolito pensatore riflette sulla storia, sull’intelligenza umana (considera sopravvalutata quella dei contemporanei), sulla scienza (l’inutilità delle missioni nello spazio con uomini a bordo), la tecnica, la collettività, i designer (il cui obiettivo primario sembra quello di rendere «inutilizzabili tutti gli oggetti di uso comune»), ma anche sulla politica e gli uomini politici (Che Guevara in primis). Non mancano, nel repertorio del signor Zeta – che dice di essere un dilettante privo di ambizioni: «ho le mie idee e sono contento quando qualcuno mi fa ricredere su qualcosa» -, i consigli su come migliorare la vita: ad esempio visitare un orto botanico – un’operazione sana per il corpo e per la mente – dove ci accoglie una grande varietà di nomi scientifici che sono infinitamente superiori alla transitorietà del linguaggio cui siamo costretti a confrontarci ogni giorno nei media. Il tempo passa, inizia a fare freddo, arriva l’inverno e il signor Zeta si ritira, scompare dal microcosmo del parco. Di lui restano le briciole che ha lasciato cadere e che qualcuno ha raccolto.