Józef Czapski – La terra inumana [LDB]

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14 agosto 1941: a meno di due mesi dall’ag­gressione tedesca dell’Unione Sovietica, e solo due anni dopo la sottoscrizione del patto Molotov-­Ribbentrop – che in un «pro­tocollo segreto» aveva stabilito la sparti­zione della Polonia –, a fronte della mi­naccia nazista viene firmato l’accordo mi­litare fra Stalin e Sikorski per la costituzio­ne, sul territorio dell’URSS, di un’armata polacca composta da soldati in preceden­za fatti prigionieri dai sovietici e deportati. All’inizio di settembre Józef Czapski, che ha servito come ufficiale nell’esercito po­lacco ed è stato internato dapprima a Sta­robel’sk e poi a Grjazovec, viene dunque liberato insieme ai suoi compagni dopo «ventitré mesi dietro il filo spinato». È l’i­nizio di un’odissea che porterà Czapski ad attraversare l’intera Unione Sovietica – e gli eventi più estremi del secolo scorso – con l’incarico di indagare sui quindicimila pri­gionieri polacchi che sembrano scomparsi nel nulla (e che verranno in parte rinvenu­ti, nel 1943, nelle fosse comuni di Katyn’). Un’odissea qui raccontata in presa diretta e in ogni – spesso sconvolgente – detta­glio: dall’esodo in condizioni disumane di militari e civili alle atroci testimonianze dei reduci dai campi, dall’incontro con il ca­po della Direzione centrale dei lager («pa­drone della vita e della morte di qualcosa come venti milioni di persone») ai contat­ti con le popolazioni. Esperienze che, per Czapski, diventano anche «una lenta, quo­tidiana iniziazione all’immensità della mi­seria umana».

 

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William S. Burroughs – Junky

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Era dai tempi delle Confessioni di un mangiatore d’oppio di de Quincey che un cono di luce così livida, spietata, non cadeva sulla terra desolata battuta dal tossicodipendente. Burroughs, che tossicodipendente lo è stato a lungo, impenitente e irredento, cerca qui la nostra complicità, ci invita nel mondo criminale mettendo a nudo il nostro voyeurismo, ci attira, ci porta dove vuole finché siamo costretti a domandarci: da che parte stiamo? Dov’è la linea che separa legalità e criminalità? E prima ancora: chi è a tracciarla? Junky è l’unica storia trasparente di Burroughs, lucida, tesa, asciutta, anche se in queste confessioni si incontrano formule e immagini che per forza visionaria adombrano episodi e figure dei romanzi a venire. È come leggere due libri simultaneamente, l’uno insolitamente diretto per uno come lui, l’altro complesso, tortuoso, ingannevole. E le due maschere si danno di continuo e impercettibilmente il cambio sul volto sempre sfuggente, misterioso, magnetico dell’autore.

 

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Luigi Luca Cavalli-Sforza ; Paolo Menozzi ; Alberto Piazza – Storia e geografia dei geni umani [LDB]

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L’opera fondamentale per chi vuole cominciare a capire il rapporto fra il nostro patrimonio genetico e la storia delle civiltà.
«Questo è lo studio a tutt’oggi più completo delle variazioni genetiche umane, e getta le basi di ogni futura ricerca sull’antropologia genetica. Una straordinaria commistione di sintesi e analisi» «Science».

 

 

 

 

 

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Ezra Pound – Opere scelte

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A Ezra Pound, figura molto discussa ma centrale della poesia del Novecento, sono dedicati due volumi, entrambi curati dalla figlia del poeta, Mary de Rachewiltz. Nel secondo volume presenta una scelta degli scritti critici di Pound, le sue traduzioni da Confucio e dai poeti classici cinesi, e un’antologia delle poesie scritte prima dei Cantos.

 

 

 

 

 

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Christophe Dejours – Si può scegliere. Soffrire al lavoro non è una fatalità [LDB]

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Orizzontalità, autonomia, flessibilità, self-management: nel corso degli ultimi decenni un pugno di concetti ha orientato una mutazione genetica del mondo del lavoro. Cambiamenti imposti dall’alto tramite nuove forme di gestione sono andati di concerto (nella maggior parte dei paesi europei) a nuove legislazioni tese a smantellare garanzie e diritti novecenteschi. Ciò ha contribuito a una precarizzazione della vita lavorativa che, parallelamente, veniva promossa con insistenza presso i lavoratori “nel loro stesso interesse” da una retorica diffusa in modo capillare (dai Master in business administration più costosi ai manuali di self-help e ai barbecue aziendali). Scisso tra desideri di libertà e un disciplinamento (di ritmi e corpi) reso sempre più serrato dalle nuove tecnologie, il rapporto delle soggettività contemporanee con il lavoro attraversa un cambiamento epocale. Da circa trent’anni Christophe Dejours indaga le conseguenze nefaste per la salute mentale delle organizzazioni manageriali del lavoro, diventate prassi generale dagli anni ’80 in poi. Purtroppo la storia gli ha dato ragione: nelle imprese e in diverse aree i suicidi si moltiplicano. Nella prima parte del libro, sono analizzate perciò le condizioni di lavoro in un servizio di rianimazione di un ospedale pubblico e in una impresa di telefonia. Si scopre che le derive del lavoro non cessano di aggravarsi, nel settore pubblico come in quello privato. Se l’esplosione di sofferenza nel lavoro oggi è riconosciuta, non lo è altrettanto la responsabilità di cercare nuove ipotesi di organizzazione e di predisporre una osservazione per verificare se funzionano umanamente. Questo è l’oggetto della seconda parte del libro: Dejours rende conto di un’esperienza fatta lungo sette anni con un economista allo scopo di trovare una re-organizzazione del lavoro che possa garantire la tutela della salute mentale insieme alla tutela della riuscita commerciale dell’impresa. L’autore fornisce a chi governa tutte le chiavi per cambiare finalmente la forma del lavoro e, di conseguenza, anche della società.

 

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Alfredo Giuliani – La biblioteca di Trimalcione [LDB]

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Si può amare il De rerum natura? Sì, a pat­to, spiega Giuliani, di rovesciare la creden­za comune secondo la quale Lucrezio mette in versi la dottrina materialistica epicu­rea. Si imporrà allora quel «razionalismo visionario» che, attraverso l’esplorazione dei fenomeni di ogni ordine, «si esalta oltre le mura fiammeggianti del mondo». Ma rovesciare la credenza comune richie­de – direbbe Manganelli – qualcosa di più di un sapere «da professore o da irto pe­dagogo». Esige un lettore avido di «tran­gugiare polpa di chimere» e di accumula­re biblioteche personali, capace di gelose relazioni (con Kierkegaard, per esempio) come di improvvise scoperte e meditate ri­pulse; un critico tanto immune da timorati specialismi e paralizzanti gerarchie da sen­tirsi a proprio agio discorrendo del mon­do «fragile e tenace come una ragnatela» della Storia di Genji o della patafisica di Jar­ry, «scienza ingorda di annettersi l’univer­so». E, soprattutto, uno scrittore in grado di afferrare ciò che ha letto e di restituirlo con memorabile incisività: così il Samuel Johnson di Boswell è una specie di «Pick­wick ciceroniano», l’amato Leopardi «un materialista platonico», Cioran «un dandy della maldicenza metafisica», e Se una notte d’inverno un viaggiatore di Calvino «un trucco d’amore per attrarre la letteratura nel vuoto e lasciarla lì sospesa». Senza que­sta fatale qualità, del resto, Giuliani non sarebbe riuscito a trasmetterci la sua pas­sione – e insieme a irriderla: «Non sono forse così, abbuffate trimalcioniche, vuoti farciti di studiate leccornie, le nostre in­ cessanti letture…?».

 

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Vittorio Strada – Il dovere di uccidere. Le radici storiche del terrorismo [LDB]

Il dovere di uccidere

Chi è il terrorista? Qual è il suo mondo interiore? Cos’ha di diverso dal soldato e dal criminale?
Per Vittorio Strada è nella Russia della seconda metà del xix e dell’inizio del xx secolo che ha avuto la sua più grande affermazione il terrorismo, prototipo delle ondate successive che avrebbero suscitato in intellettuali come
Dostoevskij, Nietzsche, Mann e Camus riflessioni morali, religiose e politiche ancora di grande attualità.
Dalle prime avvisaglie fino alla svolta storica dell’ottobre 1917, il libro ripercorre episodi cruciali e figure significative, analisi problematiche e illuminanti, a cui si affiancano nuove interpretazioni di opere letterarie considerate non come materiali illustrativi, ma espressioni vive di una drammatica pagina della storia russa ed europea che aiuta a capire non soltanto un recente passato ma anche il presente.
Oggi che il terrorismo riappare, sia pure in tutt’altre vesti, come manifestazione aggressiva di una civiltà diversa, intrecciata a quella occidentale a cui si oppone, conoscere la vicenda russa può far emergere la segreta affinità tra nuovo e vecchio terrorismo, per provare a immaginare delle soluzioni.

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Henri Michaux – Altrove. Viaggio in Gran Garabagna. Nel paese della Magia. Qui Poddema [LDB]

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Altrove è una delle opere più felici di tutto questo secolo. Pubblicato nel 1948, in quasi sessant’anni ha preso sempre più sapore ed è diventato un libro senza tempo, come a pochi succede. Descrive paesi immaginari, come quelli evocati da antichi cronisti, da antichi viaggiatori fantastici. Molti di questi paesi però sono quelli delle nostre fissazioni, dei nostri vaneggiamenti morali. Ogni paese serve a descrivere un temperamento. Si sente l’eco d’una vocazione etnografica, che l’autore ha seguito in gioventù. Ma anche quando parla di paesi che ha visitato davvero, in altri libri molto insoliti, Michaux lascia andare le frasi dove vogliono loro: non le frena con l’avarizia dell’intellettuale che vuol sempre confermare le sue idee. Allora ogni frase diventa una acrobazia immaginativa, una specie di volteggio sul trapezio delle virgole. E tutte queste acrobazie sono comiche, naturali – «naturali come le piante, gli insetti, naturali come la fame, le abitudini, l’età, gli usi, le consuetudini…» In tutti i libri di Michaux la scrittura sembra qualcosa che viene fuori come una secrezione naturale, come la bava delle lumache, come la tela del ragno, come un porro sulla pelle, o come gli escrementi che ogni giorno evacuiamo. Si sente che non c’è mai il problema di dimostrare qualcosa, ma solo di lasciar fluire una secrezione che lascia tracce sulla pagina. Perciò a momenti è così rasserenante. Perché in lui non c’è niente dell'”artista creatore”, niente di queste pretese di serietà artificiale. Lui lascia andare avanti le frasi per vedere cosa si inventano. Ma mentre un mercato di professionisti ci scaraventa addosso mattoni con centinaia di pagine da leggere in fretta per arrivare alla fine inebetiti, Michaux spesso ci lascia lieti e sazi con poche righe. (Gianni Celati, 2005)

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Carmelo Bene – Si può solo dire nulla. Interviste [LDB]

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“Si può solo dire nulla” è la raccolta definitiva delle interviste di Carmelo Bene. Un’opera che insegue la voce di Bene lungo quarant’anni di carriera per restituire, attraverso le sue dichiarazioni pubbliche, l’autobiografia impossibile di una delle figure più geniali, trasgressive, incatalogabili del Novecento. In queste interviste assistiamo a distanza ravvicinata alle molte vite artistiche di Bene e alle sue evoluzioni. Lo incontriamo appena venticinquenne mentre risponde con sfrontatezza alle accuse di oltraggio al pudore per il provocatorio Cristo ’63. Lo ritroviamo come un alieno al Festival del cinema di Venezia a presentare il film “Nostra Signora dei Turchi” o sfidare a duello un critico che aveva mosso riserve contro la sua “Cena delle beffe”. Siamo testimoni del successo ottenuto in Francia con “S.A.D.E.” e “Romeo e Giulietta”, delle sue sperimentazioni sonore – la ricerca sulla phonè – e della trasformazione dell’attore in «macchina attoriale». Assistiamo alla lettura della “Commedia” di Dante in cima alla Torre degli Asinelli di fronte a più di centomila persone. Lo seguiamo mentre calca le scene di tutta Italia, illuminato dalla luce del mito, braccato da un pubblico e da una stampa che vuole penetrare il mistero di un genio e partecipare della sua aura. Con gli occhi neri come due crateri fissi sull’intervistatore, Carmelo Bene alterna in queste pagine profezie e stroncature, anatemi e poesie, cerca l’autopromozione con gli stessi gesti con cui fa arte, discute e litiga di immortalità e di calcio, di letteratura e oblio, di sacro e gossip, perché ogni cosa nel suo mondo è tutto e niente, esiste ma senza esistere. Per Carmelo Bene «si può solo dire nulla» perché questo è il destino di ogni discorso: tutto è sulla scena solo per essere distrutto e dimenticato per sempre.

 

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John B. Bury – Storia dell’idea di progresso [LDB]

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L’idea di progresso, ormai, fa così intimamente parte del nostro atteggiamento mentale che non ne cogliamo più la natura di idea schiettamente moderna; sconosciuta ai greci e ai romani, al medioevo e al rinascimento, è nata solo con la filosofia razionalistica dell’Illuminismo. Bury, uno dei più grandi storici contemporanei, ne descrive la nascita e lo sviluppo senza proporsi di stabilirne la “verità,” ma sottolineandone l’importanza in quanto idea determinante nella storia moderna: egli coglie i primi accenni progressivi nel crepuscolo dell’età nuova e segue il manifestarsi dell’idea di progresso nella letteratura e nella filosofia, nell’economia e nella scienza politica, nella fisica, nella filologia, nella biologia mettendola in rapporto con gli scritti e le azioni di pensatori, scienziati e politici. Un libro insolito, dedicato dall’autore agli ottimisti che ebbero fiducia nelle sorti progressive e, oggi sappiamo, non sempre magnifiche, dell’umanità.

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