Nel primo romanzo i valori che dominavano dal Medioevo la vita dell’uomo erano già dimenticati. Ciò nonostante l’ufficiale von Pasenow era ancora in grado di vedere nell’esercito, nella patria e nell’amore coniugale i fondamenti della sua esistenza. Per August Esch, irascibile contabile piccolo borghese, protagonista del secondo romanzo, ogni valore è diventato una forma vuota. Sacrificio, fedeltà, sono parole che gli rimbombano ossessivamente in testa. Vorrebbe obbedire a qualche ideale. Ma come eliminare il disordine del mondo? Scontento del suo lavoro, è licenziato. La causa di tutto per lui è un certo Nentwig, impiegato nella sua stessa ditta. Esch lo vuole denunciare. Si dà alla lotta sindacale. Poco dopo è attratto dal teatro. Pensa di emigrare in America. Agli occhi di Esch, che divide il mondo tra bene e male, i conti non tornano: i valori sono intercambiabili e i registri del mondo sono pieni di cifre illeggibili. Spinto dalla sua sete di giustizia invece di colpire Nentwig, denuncia Bertrand, il capitano di industria, colpevole di essere un omosessuale, un distruttore dell’ordine divino. Agisce anche qui, come nel primo romanzo, quel pensiero simbolico per il quale tutto è manifestazione di qualcos’altro e chiunque può essere il rappresentante di qualcun altro. Anche in questo secondo romanzo, la forma del racconto naturalistico è mantenuta, ma, afferma Broch, «l’agitazione interna riflette l’anarchia». Inoltre, ancor più che nel caso di Joachim von Pasenow; la costruzione sovrapersonale e transtorica del personaggio protagonista, per cui l’essenza del carattere di Esch si trova secoli prima nella ribellione di Martin Lutero, apre al romanzo moderno una possibilità estetica inedita e carica di avvenire.