Molti mondi il professor Elwin Ransom ha attraversato, nei primi due volumi della «trilogia cosmica» di C.S. Lewis che qui si conclude. E i racconti delle sue avventure si intrecciavano, per gli amici riuniti ogni giovedì sera nell’appartamento dell’autore al Magdalen College di Oxford, con i capitoli del Signore degli anelli che J.R.R. Tolkien stava contemporaneamente componendo.
Ma ora Ransom, dopo tanti viaggi in universi misteriosi e remoti, è tornato sulla terra, nel microcosmo apparentemente ristretto e realistico di una piccola università. Quotidianità illusoria, come Lewis stesso volle precisare: «Se mi si chiederà perché comincio con scene e personaggi così prosaici, pur avendo intenzione di scrivere di maghi, di demoni, di animali da pantomima e di angeli planetari, risponderò che mi limito a seguire il metodo della favola tradizionale, metodo di cui non sempre siamo consapevoli, perché le casette, i castelli, i boscaioli e i re meschini con cui iniziano le fiabe ci sono diventati estranei quanto le streghe e gli orchi che entrano in campo subito dopo, ma non lo erano affatto per coloro che inventarono quelle storie o che per primi si divertirono ad ascoltarle».
Così, a poco a poco, secondo il più classico tra i canoni della letteratura fantastica, il reale – Bracton College e i suoi edifici, l’Istituto nazionale per il coordinamento degli esperimenti, che è una anticipazione impressionante dei più recenti terrori tecnologici, l’amore coniugale, l’orso addomesticato, le campagne e i villaggi dei dintorni, all’apparenza così pacificamente inglesi – si modifica e si trasfigura assumendo quella dimensione profonda, davvero «sovrannaturale», che ne è per l’autore il vero volto misconosciuto. E allora si svelerà il vero tema magico di tutta la trilogia: il risveglio di Merlino.