«Il parassita che nel 1892 Jules Renard elesse a protagonista di un suo romanzo … non ha nulla dei suoi antenati, o non gli resta dei suoi antenati che quel maledetto vizio di ogni tempo di sedere alla tavola degli altri e diventare “il convitato abituale”. Per raggiungere i suoi scopi (che non si limitano al mangiare e dormire) si serve della letteratura … Henri (è questo il suo nome) aspira a divenire l’idolo ben remunerato di una brava famiglia borghese, di un marito lavoratore, di una moglie attenta, che il profumo di una vita diversa, di esistenze godute e perdute alla fiamma della poesia, getta senza alcun bovarismo e col massimo controllo in uno stato di lieve abbandono, di stordito turbamento … L’impegno che lo sovrasta è quello d’incantarli, soffiando con abilità in quella specie di flauto dolce che è la poesia per chi non la conosce; di trasportarli sul suo illusorio palcoscenico, ov’egli, recitando una vita che non esiste e mai smettendo via via di complimentarsi con se stesso per l’ottimo lavoro che sta eseguendo, potrà cantare alla fine la sua vittoria».