A partire dalla fine del secolo XVIII l’idealismo classico tedesco, ovvero il pensiero della dialettica, diviene egemone nella cultura europea. La catastrofe della rivoluzione francese sembra aver trascinato con sé quel pensiero materialistico della differenza e dell’antagonismo che aveva illuminato il secolo XVIII e che, fin dalla rinascita umanistica, aveva rappresentato una tendenza alternativa nello sviluppo della metafisica occidentale. La poesia e la filosofia di Leopardi nascono a contatto della catastrofe ma si rifiutano di accettare che la questione critica (perché la rivoluzione è fallita? quali sono le condizioni della crisi?) possa essere risolta sull’orizzonte dell’illuminismo dialettico. Al contrario, dopo aver percorso il terreno della dialettica ed aver anticipato le conclusioni nihiliste cui quell’esperienza conduce, dopo aver riabilitato il nihilismo e fattogli assumere la modernissima figura di una teoria dei segni, Leopardi libera la ragione nella sola direzione che permetta di ritrovare un senso di verità alla vita – il terreno etico, laddove l’immaginazione può impedire ogni compromesso conseguente alla sconfitta e costruire una via d’uscita nella crisi. La metafisica leopardiana si approfondisce qui fino a costituirsi in ontologia – permanente sfondo di fedeltà e di rinnovamento dei valori, permanenza della speranza. La questione critica deve rimanere aperta: come, dopo tutto ciò che è avvenuto, è mutato l’uomo? perché la rivoluzione è di nuovo possibile? Accettare con dignità e forza il desolato orizzonte di crisi cui conclude la modernità dell’occidente, sapendo tuttavia che attraverso il disperato soffrirne è ancora possibile il suo rivoluzionamento: questa è dunque la coscienza che è costruita dalla metafisica materialistica ed è incarnata dalla disutopia di Giacomo Leopardi.
Grazie a Mauritius in libris per il consiglio di partenza