Sono molti i problemi che sorgono nel momento in cui si intende definire l’identità di un gruppo. È come voler fotografare una classe di bambini che non stanno mai fermi, che si scambiano continuamente di posto, e magari a scattare la foto è un fotografo anch’egli inquieto e continuamente in movimento. Fissare un’identità significa renderla unica, escludere le altre ipotesi: è un’operazione politica che nasce da rapporti di forza. Parole come cultura, identità, etnia, razzismo compaiono con insistenza nei discorsi dei politici, sulle colonne dei giornali, nei dibattiti televisivi, e la sempre maggiore enfasi posta sulle culture e sulle loro presunte radici conduce a una crescente attenzione verso il locale e i localismi, alcuni dei quali vengono poi impugnati e caricati di aspirazioni globali. Molti dei cosiddetti «conflitti culturali» che sembrano caratterizzare la nostra epoca, spesso sotto la patina della cultura celano ben altre spinte, ben altri interessi. Può sembrare paradossale che sia un antropologo a denunciare l’attuale eccesso di attenzione alle culture, alle diversità, alle identità, ma il rischio è che il troppo relativismo si trasformi in una nuova maschera della discriminazione.