Si è soliti squalificare come “utopica” ogni forma di progettualità non sufficientemente asservita alla forza di un principio di realtà tanto perentorio quanto sospetto. E se “utopia” fosse invece il nome di uno spazio di pensiero e di un margine di gioco che di volta in volta è stato necessario creare tra le maglie dei testi e dei sistemi di pensiero per consentirsi di progettare la realtà di nuovi principi? Dall’utopia filosofico-politica di Thomas More o Charles Fourier, a quella scientifico-tecnologica di Skinner o Stanislaw Lem, alle infinite creazioni fantastiche e fantascientifìche dell’Ottocento e del Novecento, il libro circoscrive i confini di un universo di scrittura che offre, allo stesso tempo, un modello di riflessione filosofica, un paradossale osservatorio antropologico, un laboratorio spesso inavvertito di elaborazione politica. Lo spazio “altro” dell’utopia obbedisce di volta in volta a differenti principi architettonici e ad altrettante strategie di senso.