“Trans-Atlantico è l’opera più patriottica e più coraggiosa che io abbia mai scritto,” diceva Gombrowicz nel suo Diario e aggiungeva: “Ed è proprio quest’opera che mi procura il marchio disonorante di codardo e di pessimo polacco”. Trans-Atlantico è un attacco, un’aggressione feroce e spietata a tutto l’insieme dei complessi nazionalistici, “è una nave corsara che contrabbanda un forte carico di dinamite, con l’intento di far saltare in aria i sentimenti nazionali finora vigenti”. Gombrowicz vi compie un impietoso tentativo di “psicoanalisi nazionale”: sviscera con mezzi spesso poco ortodossi l’anima polacca mostrandole la sua immagine ridicolizzata, goffa, meschina. E quali armi poteva scegliere per la sua battaglia lui, un esule osteggiato dagli emigrati politici perché troppo iconoclasta e dalla letteratura ufficiale in quanto emigrato? L’ironia, la risata: “Quando le circostanze schiaccianti ci costringono alla trasformazione integrale del nostro intimo, la nostra salvezza è nella risata. È la risata che ci tira fuori di noi stessi e consente alla nostra umanità di sopravvivere indipendentemente dai dolorosi mutamenti che subisce il nostro involucro esteriore”.