Forse Ernst Jünger ha stretto un patto segreto con il tempo. E forse questo patto è stato tanto efficace – in una vita che ha raggiunto la soglia dei cento anni, dopo aver attraversato tutte le bufere del secolo e aver assistito per due volte al passaggio della cometa di Halley – perché Jünger, anziché fuggire il tempo, lo ha sempre indagato con amorosa pazienza. Per catturare l’essere imprendibile per eccellenza egli ha avuto anche l’accortezza, con questo libro, di scegliere non già la via della pura speculazione ma quella della divagazione, alla maniera dei grandi eruditi seicenteschi. Così al centro ha posto un oggetto, l’orologio a polvere, che si offre a noi come un «geroglifico del tempo». E intorno a esso, con giri sempre più larghi, ha spinto la sua analisi a investire i diversi modi di vivere il tempo che hanno scandito il corso della civiltà. Dalla polvere che scorre insensibilmente all’interno di quell’oggetto pieno d’incanti che è la clessidra alla ruota dentata dell’orologio meccanico, dal tempo che viene lasciato essere al tempo che viene prodotto: attraverso la storia di questi oggetti, attraverso il succedersi di queste concezioni, una lunga vicenda ci conduce fino a oggi – e ci fa capire alcuni presupposti taciuti della nostra esistenza. Jünger ci guida in questi meandri con sapienza e delicatezza, senza precipitarsi alle conclusioni, ma anzi soffermandosi come un antico artigiano su una miriade di oggetti e di immagini – che costellano le pagine di un libro sicuramente fra i più felici e accattivanti della sua opera imponente.