Attorno al “caso Heidegger” si sono moltiplicate ricostruzioni storiche, narrazioni sociologiche, dimostrazioni teoriche, volte a screditare il pensiero di Heidegger adducendo le “prove” della sua compromissione con il movimento nazista, o a scrollare l’occasionalità storica dell’“errore” dalla metafisica impoliticità del pensiero. Evitando questa duplice possibile banalizzazione, Lyotard interviene nel dibattito con l’autorità di chi ha pensato il suo libro maggiore,a partire dalla scena di Auschwitz, quando ancora non esisteva alcun “caso Heidegger”, per ravvisarvi il luogo della manifestazione iperbolica dell’esigenza di dare fondamento a una comunità risolta in pura unità, senza più differenze. In questa nuova opera, che elabora anche alcune tesi freudiane, Lyotard precisa la sua posizione: è perché la tradizione ebraica interdice la rappresentazione in uno della eterogenea comunità politica degli affetti che si è tentato l’annientamento non solo degli Ebrei, intollerabili testimoni di questa dissidenza dell’affetto, ma anche del pensiero di tutti coloro (“gli ebrei”, tra virgolette) che in qualche modo fossero partecipi del sapere tradizionalmente attestato dal popolo ebraico. Se, dopo la Shoah, Heidegger non ha avuto parole per ricordare lo sterminio, ciò è avvenuto per lo stesso motivo per cui egli ha potuto, negli anni Trenta, aderire al movimento che l’avrebbe richiesta. Articolando queste premesse, il “nazismo” e il silenzio di Heidegger rivelano, nella decifrazione di Lyotard, il permanere di “una preclusione che è costitutiva del pensiero occidentale come filosofia e come politica”
Grazie a U.s.A. per la scansione di partenza e per l’editing dell’epub.
Grazie per questi libri su Heidegger politico.