Nella notte fra il 27 e il 28 ottobre 1910 l’ottantaduenne Lev Tolstoj abbandona moglie e figli e si mette in viaggio, in incognito, su un vagone ferroviario di seconda classe. Ma un malore lo costringe a fermarsi nella stazioncina di Astapovo: un minuscolo villaggio sperduto nell’immenso impero russo, che in poche ore diventerà il centro del mondo. Sotto lo sguardo vigile delle forze di polizia (preoccupate che la morte dell’«amico del popolo» possa essere pretesto di disordini) e quello «materno» della Chiesa ortodossa (che non perde la speranza di veder tornare a lei il grande scomunicato), ad Astapovo affluiranno giornalisti, fotografi e cineoperatori, oltre agli amici e ai familiari di Tolstoj (arriverà anche la moglie Sof’ja, ma al malato verrà taciuto, né a lei sarà concesso di vederlo). Per sei giorni – sei giorni che tengono il mondo con il fiato sospeso – la stampa renderà noti i minimi dettagli della vicenda: Tolstoj morirà, come si direbbe oggi, in diretta, e per la prima volta un evento privato diventerà pubblico. Sin dai mesi successivi alla sua morte (e ancora oggi) sono state scritte migliaia di pagine con l’intento di ristabilire la «verità» sulla fine di Tolstoj e sulle ragioni della sua fuga. Il libro di Vladimir Pozner recide di netto il nodo delle contrastanti versioni tornando ai nudi fatti, ricostruiti sulla base di un corpus sterminato di documenti inediti (dispacci telegrafici, articoli, rapporti di polizia, bollettini medici), che si alternano a stralci dalle lettere e dai diari di Tolstoj e della moglie, nonché da altri testi (memorie, saggi, opere letterarie), in un incalzante «montaggio» narrativo (così definiva lui stesso questo nuovo, e audace, genere letterario) dal taglio decisamente cinematografico. Una pièce tragicomica a cui ogni particolare aggiunge precisione e brillantezza.