Per Miguel Abensour “filosofia politica” è un termine paradossale, un tentativo di unire due concetti contraddittori. Ripercorrendo il pensiero di Hannah Arendt, egli si chiede piuttosto se “filosofia” e “politica” non appartengano a tradizioni differenziali e alternative. Ciò è ben visibile secondo Abensour – nell’analisi da lei dedicata al mito della caverna di Platone. L’immagine della caverna e dei prigionieri suppone un’immagine negativa dell’agire politico, a cui il filosofo vuole opporsi e imporsi, per affermare contro un simile caos l’unità e l’autorità regolatrice. Se, nella lettura di Platone, Arendt mostra più di un punto di contatto con Heidegger, se ne allontana però decisamente, respingendo la sua concezione dell’essere-per-la-morte. La filosofia occidentale è in larga misura, secondo Abensour, condizionata e guidata dall’idea della morte, e questa è tra l’altro una delle cause che determinano la sua ostilità alla politica e alla vita indeterminata e caotica della polis. Questa è infatti dominata dal principio imprevedibile e opposto dell’essere-per-la-nascita, dall’irruzione di eventi incondizionati, di inizi indominabili: l’essere inaugurale produce “l’apertura di un’infinità di possibili, capaci di far sorgere il nuovo nel mondo”.