«Il nesso fra cronaca e storia è centrale nel mio diario: può aiutare a muoversi fra le nebbie, e spesso fra le melme, della seconda Repubblica. E può portare ancora più indietro: alla qualità stessa della modernizzazione italiana, e al rapporto fra istituzioni, sistema politico e paese». Il presente come storia: in questo suo nuovo libro Guido Crainz racconta in presa diretta gli ultimi dieci anni di vita italiana. Se il suo grande affresco in tre volumi sulla storia dell’Italia repubblicana si fermava alle soglie del nuovo millennio, qui la materia si fa attualissima, lo stile più perentorio, il giudizio più tagliente. La forma è quella di un diario che ripercorre anno dopo anno la trama del nostro passato più recente sul filo di una originalissima «memoria individuale», intessuta di raffronti tra i giudizi del momento, annotati da Crainz a ridosso dei singoli accadimenti, e le valutazioni che l’autore ne può dare oggi. Una parabola – quella di quest’ultimo decennio – davvero impressionante: dall’apparente consolidarsi della seconda Repubblica al suo rovinoso crollo. Sullo sfondo, crisi e bufere globali, dal dramma di Nassiriya al «pericolo greco», dagli attentati di Londra e Madrid a una crisi economica internazionale che disvela gli inganni del neoliberismo. Sino al nodo dell’Europa, e all’ «angoscia da spread». Un interrogarsi, anche, sul lungo permanere della stagione berlusconiana; sulle radici a cui essa è saldamente ancorata e sulle deformazioni che induce nel corpo vivo della società italiana; con lo sprezzo crescente dei valori e dei vincoli collettivi, con il primato del «sé» sul bene pubblico, con l’erosione quotidiana delle norme elementari di legalità e diritto. Su tutte, una domanda. Perché questi processi hanno trovato così deboli anticorpi? Perché la stagione berlusconiana ha potuto protrarsi così a lungo, inducendo stravolgimenti gravi nel funzionamento delle istituzioni e in quell’equilibrio fra i tre poteri dello Stato che è il cardine di ogni democrazia? Nel suo stesso svolgersi, il libro diventa in primo luogo una riflessione impietosa sull’inadeguatezza della sinistra italiana, sulla sua incapacità di progettare il futuro e di modificare radicalmente il proprio modo di essere restituendo ai cittadini la fiducia nella democrazia: una fiducia gravemente erosa da una «partitocrazia senza partiti» sempre più priva di etica, e spesso di decenza. Se una nuova partenza è possibile, può avvenire solo da qui.