Di Oskar Panizza non intendiamo qui dare un profilo biografico. Ci penseranno altri. Si saprà comunque che, nato nel 1853 nell’allora regno di Baviera, ebbe vita disordinata e segnata dall’impronta materna (strenua lottatrice contro le autorità civili ed ecclesiastiche). Lavorò come psichiatra ma i suoi veri interessi rimasero sempre letterari. Girovagò, cacciato e braccato, per l’Europa; infine si costituì nel 1905. Rinchiuso in manicomio, vi rimase fino alla morte, nel 1921, lasciando una corposa produzione, quasi completamente inedita. Questa Psichopatia criminalis, acre e umorale satira politica pubblicata nel 1898, utilizza certo linguaggio specialistico per mettere in rilievo la funzione politica della psichiatria e, secondo le parole dell’autore, verte “sul fervore persecutorio delle autorità tedesche in difesa della malattia politica che ha contagiato i tedeschi”. In tale denuncia, Panizza segue la tradizione di Lutero, Cranach, Dürer e Von Hutten, ma non certo per lo stile letterario: Panizza scrìve come parla e parla in modo orrendo! (Fu considerato il più osceno e indecente scrittore in lingua tedesca). Nessun poeta tedesco ha maltrattato tanto la propria lingua: massacra grammatica, sintassi e senso e ciò rende quasi impossibile renderne lo stile. Insomma, il rappresentante di una bohème maledetta che è ancora tutta da scoprire.