Se la Maastricht 2.0 consisterà delle proposte scriteriate sinora discusse, la Storia non attribuirà certamente la responsabilità della fine dell’euro ai movimenti populisti e a quattro economisti che li sobillano, ma alla cecità dell’establishment europeo. L’Europa si accinge in questi mesi alla revisione delle proprie discusse istituzioni di governance economica, una sorta di Maastricht 2.0. Le attese per l’Italia non sono positive: la Germania sostiene che le regole vadano riviste non perché non hanno funzionato, ma perché non sono state rispettate, proponendo l’irrigidimento dei vincoli di bilancio e relegandone il controllo ai tecnocrati e all’arbitrio dei mercati.
Ma siamo davvero noi italiani ad avere violato le regole della moneta unica, o l’hanno invece fatto i nostri fustigatori tedeschi? Vi sono delle “regole del gioco”, ben note all’analisi economica, che rendono un’area monetaria sostenibile. Ispirate da precetti monetaristi, le regole nei fatti adottate nell’Eurozona sono invece altre, e sono quelle che la Germania ha ritenuto più confacenti al proprio modello mercantilista. Come potrà il rafforzamento di regole sbagliate consolidare l‘euro e non, invece, destabilizzarlo? Quali veti e quali proposte dovrebbe mettere sul tavolo il governo italiano? E da ultimo, un’altra Europa è possibile?
Sergio Cesaratto, ben noto economista dell’Università di Siena, ripercorre le ragioni storico-politiche che hanno portato l’Italia a sostenere la moneta unica come sostituto di un patto sociale interno volto a regolare il conflitto distributivo, accettando così regole del gioco esterne basate su principi antidemocratici, vantaggiose per gli altri, lesive per la nostra crescita. L’illustrazione delle proposte di riforma tedesche mostra la continuità con gli errori che hanno prodotto la crisi finanziaria e accentuato le asimmetrie europee.
L’autore ha cercato di spiegarlo al pubblico tedesco in una conferenza tenuta a Friburgo, città-simbolo del discorso politico-economico “ordoliberista” dominante in Germania, considerato un “universo parallelo” nel resto del mondo. La questione, però, è di farlo capire agli italiani, in particolare a quella parte della classe dirigente che ancora prende per populismo le critiche all’Europa condivise dai migliori economisti internazionali. È quello che si propone di fare in modo chiaro attraverso questo agile e pungente volume.