Quando Blok pubblicò il saggio “Intelligencija e rivoluzione”, nel gennaio 1918, nei giorni decisivi della rivoluzione russa, grande fu l’eco delle sue parole. Perché con esse uno dei più prestigiosi poeti e portavoce dell’intelligencija – questa categoria peculiarmente russa, che è venuta a inglobare in sé tutta la nostra concezione degli «intellettuali» – si schierava dalla parte dei bolscevichi, all’insegna del motto: «Rifare tutto». Ci fu chi gridò al tradimento, altri seguirono Blok con entusiasmo. Ma, se si percorrono i suoi saggi qui per la prima volta raccolti, in parte scritti in quei vent’anni prodigiosi per la Russia che precedettero lo scoppio della Rivoluzione, in parte reazione diretta a quell’evento incommensurabile, vediamo che la posizione di Blok non è tanto il frutto di un convincimento politico («politicamente sono un analfabeta» scrisse una volta), quanto l’annuncio di un rinnovamento globale, dove le ambizioni cosmiche del simbolismo si mescolano con la furia elementare di Bakunin e l’antica spinta messianico-visionaria della cultura russa. Queste potenze diverse, che poi sarebbero diventate nemiche o comunque separate, convivevano in Blok in un precario e stupefacente equilibrio. Ed è anche per questo che leggere oggi i saggi di Blok è così emozionante – e dà una nostalgia che si rivolge al futuro. Come egli scriveva: «La vita ha valore soltanto se le si pone una esigenza infinita: tutto o nulla; attendere l’inaspettato; credere non già “in ciò che non esiste sulla terra” ma in ciò che deve esistere sulla terra, anche se non esiste ancora e non esisterà per lungo tempo».