In queste pagine, puntuale registrazione dei giorni compresi fra il 3 aprile 1939 e il 24 luglio 1940, la testimonianza di un osservatore d’eccezione come Ernst Jünger si dipana in un suggestivo intreccio di esperienze privatissime e accadimenti storici di importanza epocale: gli ultimi mesi di pace tra i suoi cari nella quiete di Kirchhorst, in cui si intensifica e conclude il lavoro alle Scogliere di marmo; le avvisaglie del conflitto imminente; la chiamata alle armi, le marce incessanti verso ovest per raggiungere il fronte, il sentimento di fraterna solidarietà e a tratti di schietta ammirazione nei confronti di ufficiali e sottoposti; lo sconfinamento in Lussemburgo, Belgio e poi in Francia, su strade disseminate di bottiglie di spumante vuote abbandonate dagli invasori; lo strazio sui volti di prigionieri e profughi; e finalmente, quando «ormai era diventato del tutto chiaro il valore inestimabile della pace», la notizia dell’armistizio. Ma non meno affascinante del vivido racconto della Storia è in questo libro il contrappunto e – nelle parole dello stesso Jünger – il paradosso, anche nel «pieno della catastrofe», delle proprie passioni mai accantonate, che assumono anzi nei giorni più duri il valore simbolico di «azione civilizzatrice», di «riserva di stabilità». Si dà quindi scrupolosamente conto delle letture, che si tratti della Bibbia, di Esiodo o di un volume di Maupassant trovato per caso in un alloggio di fortuna; del piacere raffinato provato alla vista delle cose belle, per la buona cucina o per i vini pregiati; dell’incanto e dello stupore inesauribile per il grande rebus della natura: i paesaggi, le piante, gli animali, il mondo misterioso degli insetti e dei fossili, nella convinzione che le cose «traboccano contenuti – e parlano, non appena si rivolge loro lo sguardo».
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